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«VI SPIEGO COSA NON FUNZIONA DEL PSR»

da | 28 Giu 2018 | NEWS

La regione Piemonte sta rischiando di non sfruttare al meglio le opportunità offerte dall’Europa, attraverso i  fondi europei per l’agricoltura FEASR. Ci sono regioni come la Toscana che hanno già deciso il 99,8% delle risorse a disposizione, mentre il Piemonte è fermo al 31,3%, fruibili fino all’ormai prossimo 2020. Questi dati contrastano con quelli della Regione. L’assessore Giorgio Ferrero sottolinea come i numeri sull’attuazione del PSR piemontese siano al contrario confortanti: «sono stati impegnati 907,8 milioni, su 114 bandi. E di questi sono già stati pagati 181 milioni di euro, pari al 17%». Che per la Regione significa aver raggiunto l’obiettivo prefissato che consentirà di non avere nessun rischio di disimpegno, in anticipo di 7 mesi rispetto alla programmazione che poneva il termine al 31 dicembre 2018. Nonostante ciò, secondo altri, il rischio di dover restituire fondi, secondo le stime UE, oggi sarebbe pari all’1,8% del totale, ossia ulteriori 19,4 milioni, rispetto ad altre regioni virtuose che hanno un rischio dello 0,8%, pari a meno della metà di quello piemontese.

La situazione si presenta molto dunque intricata, mentre le operazioni procedono a rilento accumulando un ritardo che viene da lontano: in seguito al cambio di governo regionale, i primi bandi sono partiti solo alla fine del 2015. Anche sulle scelte politiche c’è da ridire: si trascura la produzione convenzionale e crescono i fondi per le coltivazioni biologiche e la montagna, ma così’ facendo si finisce per non riuscire a spendere i fondi, a causa della non adeguata allocazione delle risorse in ambiti scarsamente appetibili, della farraginosità dei bandi e della difficoltà a interfacciarsi con i sistemi informativi.

Proviamo a capirne di più grazie a Fabio Lanfranchini, titolare dello Studio Pulsar di Borgolavezzaro (Novara): i tecnici, nel ruolo di intermediari tra operatori e istituzioni, lavorano anch’essi con grande difficoltà. «Lo stanziamento  dei fondi relativo ai bandi PSR in Piemonte è stato spinto maggiormente da motivazioni politico-amministrative piuttosto che da ragioni squisitamente tecniche – sottolinea il professionista -: nel momento in cui sono state fatte le scelte relative alla programmazione dei Piani Sviluppo Rurale 2014-2020 sono state tutelate maggiormente le aziende di alcuni areali agronomici piemontesi, ponendo le aziende cerealicole e soprattutto quelle risicole in fondo alle graduatorie. Questo grazie agli indicatori aziendali, parametri di produzione standard che, attribuendo valori produttivi molto elevati alle aziende risicole, influiscono notevolmente sulle graduatorie, ponendo i risicoltori in condizioni di svantaggio in termini di competitività. Un  esempio riguarda la misura 10.1.3 (TECNICHE DI AGRICOLTURA CONSERVATIVA): è resa inaccessibile alla risicoltura nella parte relativa alla semina su sodo, dove viene prevista una semina con inter-fila di 40 cm, non applicabile alla tecnica della semina interrata a file».

Inoltre, molti bandi emessi, anche i più appetibili per la risicoltura, si sono dimostrati inattuabili per innumerevoli cavilli burocratici, «dei quali io stesso sono rimasto sorpreso più di una volta; ricordo di aver visto bocciare una domanda di diverse migliaia di euro relativa all’utilizzo di compost in risaia perché la distribuzione del materiale compostato era iniziata, per motivazioni agrometeorologiche, il 9 novembre, ovvero due giorni prima dell’inizio della campagna successiva, dimenticando che una distribuzione autunnale non potrà che apportare dei benefici alla coltura seguente… un’assurdità burocratica».

Le preoccupazioni di molti agricoltori, che non si sentono sostenuti dalle istituzioni, sono dunque condivise dai tecnici: «un altro dei problemi fondamentali riguarda le tempistiche di emanazione dei bandi, molto spesso troppo ravvicinate o addirittura in ritardo rispetto alle necessità agronomiche. Il lavoro del professionista consiste nel poter valutare con ogni cliente la possibile applicabilità dei bandi ma questo necessita di tempo e di certezze, non basta pubblicare un bando per considerare ben allocate le risorse fornite dall’Ue, ma bisogna  assicurarsi dell’effettiva attuabilità. Anche dal punto di vista tecnico molti documenti si presentano carenti e ne è un chiaro esempio la misura 10.1.2 (INTERVENTI A FAVORE DELLA BIODIVERSITÀ NELLE RISAIE) relativa alla creazione di fossi per la preservazione della fauna acquatica nei periodi di asciutta; obbiettivo lodevolissimo ma che si è tentato di perseguire senza definire dove dovesse essere fatto il suddetto fosso perdendo così buona parte della valenza ambientale. Una misura facoltativa prevede anche la sommersione invernale delle risaie che risulta spesso inattuabile, in quanto non è stato richiesto ai consorzi irrigui se vi fosse la possibilità di utilizzare l’acqua in inverno e, solo in seguito alla pubblicazione, si è scoperta l’impossibilità poiché nella stagione invernale viene effettuata la manutenzione dei canali, e destinata la poca acqua presente alla produzione di energia elettrica».

Nicoletta Mazzini, co-titolare di Pulsar, ci fornisce un altro esempio delle difficoltà che incontra chi cerca di partecipare ai bandi: «una domanda di aiuto relativa allo smaltimento di eternit in un azienda risicola  rischiava di essere bocciata poiché nella SCIA emessa dal Comune figurava la locuzione “intervento straordinario“, e nel bando era previsto lo smaltimento solo in seguito ad intervento ordinario per l’ottenimento dei fondi. Questa mi è sembrata una forzatura burocratica a dir poco eccessiva, nella valutazione di un intervento volto allo smaltimento di un materiale tossico».

Il lavoro delle istituzioni sembra essere, leggendo questi fatti, spinto da uno spirito “antagonistico” nei confronti di chi, al contrario, dovrebbe essere tutelato dalle stesse. La risicoltura in particolare è uno dei settori più tartassati e allontanati dalla possibilità concreta di ricevere aiuti regionali, forse anche per motivi formalmente validi, ma certamente per mancanza di interazione tra il comparto tecnico e la Regione, che sarebbe decisivo  in una coltura altamente specializzata come la nostra. In questo modo non vengono ottimizzati gli effetti degli aiuti comunitari che invece dovrebbero permettere all’imprenditore virtuoso di essere al passo con le tecnologie più innovative. Conclude Lanfranchini:«ci auguriamo che il prossimo quinquennio di programmazione tenga conto delle enormi difficoltà che abbiamo riscontrato nella gestione del PSR attuale, per questo ci rendiamo disponibili come supporto alle istituzioni confidando che queste comprendano l’importanza di chi il territorio lo vive veramente in prima persona». Autore: Ezio Bosso

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