Che fine farà il Parco Agricolo Sud Milano? Domanda interessante per la risicoltura lombarda, visto che questo ente coinvolge 61 comuni e 47.000 ettari, tra cui anche molte risaie, e dopo 26 anni ancora non ha raggiunto una sua identità. Si fa interprete del problema Andrea Bucci (foto piccola), agronomo e caporedattore di Intersezioni, il periodico dell’Ordine degli agronomi della provincia di Milano. In un recente articolo, Bucci scrive che «sono tre i possibili scenari a cui il territorio a vocazione agricola a Sud di Milano andrà incontro nel medio lungo termine: la sostanziale fine del progetto Parco agricolo Sud Milano, la sua stentata prosecuzione ben al di sotto delle potenzialità di uno dei territori più fertili, oppure una svolta positiva che metta al centro l’agricoltura produttiva e la redditività del capitale terra. Considerazioni, queste, che devono accompagnare necessariamente la doverosa e approfondita riflessione, a quasi ventisei anni dalla sua costituzione, circa il futuro di uno dei parchi regionali più importanti d’Europa. Regione Lombardia costituì il Parco agricolo Sud Milano nel 1990. Fu un percorso articolato nato dal basso grazie alla spinta di associazioni e di comitati che sin dagli anni Sessanta lavorarono per istituzionalizzare quel terreno fertile che a Sud del capoluogo lombardo riuscì a preservarsi dall’impermeabilizzazione diffusa.
È un parco regionale che presenta caratteristiche uniche. La vocazione agricola si estende su un territorio molto vasto che arriva nel cuore dell’area metropolitana: 47 mila ettari e 61 comuni coinvolti. Le finalità del Parco sono riportate nella legge regionale 24 del 23 aprile 1990. “Le finalità del Parco agricolo Sud-Milano, in considerazione della prevalente vocazione agro-silvo-colturale del territorio a confine con la maggior area metropolitana della Lombardia, sono: a) la tutela e il recupero paesistico e ambientale delle fasce di collegamento tra città e campagna, nonché la connessione delle aree esterne con i sistemi di verde urbani; b) l’equilibrio ecologico dell’area metropolitana; c) la salvaguardia, la qualificazione e il potenziamento delle attività agro-silvo-colturali in coerenza con la destinazione dell’area; d) la fruizione colturale e ricreativa dell’ambiente da parte dei cittadini. Le attività agro-silvo-colturali sono assunte come elemento centrale e connettivo per l’attuazione delle finalità”.
È giunto il momento di chiedersi se questi obiettivi siano stati o meno raggiunti e il perché. La domanda è più che lecita non solo in ragione di un sufficiente lasso di tempo trascorso dalla costituzione del Parco ma anche rispetto ad alcuni cambiamenti di carattere urbanistico e amministrativo che potrebbero presto condizionare il territorio del Sud Milano. Si ricordino solo le trasformazioni più significative: la possibile apertura di un sito di estrazione di combustibili fossili presso Zibido San Giacomo, la realizzazione della dibattuta superstrada Vigevano Malpensa e la semplificazione amministrativa per mezzo dell’accorpamento in unico ente di Parco Sud e Parco Nord (sebbene al momento quest’opzione risulti essere stata accantonata). Situazioni certamente molto complesse e ancora non definite che vanno attentamente analizzate con approccio multidisciplinare alla luce dei bisogni della cittadinanza metropolitana e dell’interesse collettivo. Mobilità, sburocratizzazione e sostenibilità economica della pubblica amministrazione sono tutti aspetti da considerare e dalla cui valutazione devono dipendere le scelte finali rispetto al futuro di un territorio. Certo è che le trasformazioni paventate non vanno nell’interesse di un territorio a vocazione agricola in quanto il capitale terra è un fattore di produzione irrinunciabile per il settore primario. Anche l’accorpamento amministrativo con il Parco Nord, area verde di fruizione a vocazione non agricola, potrebbe andare in quella direzione. Non si tratta solo di consumare suolo ma di parcellizzare la terra e rendere altamente improduttivo il lavoro delle macchine, il trasporto e la raccolta delle derrate alimentari.
Tuttavia, la classica contrapposizione tra natura e infrastrutture non offre elementi utili alla riflessione. Riflessione che potrebbe essere sviluppata, invece, in direzione opposta. Perché il territorio del Parco è candidato dalle stesse istituzioni ad assumere, almeno in parte, altre vocazioni che vanno in aperto contrasto con quella agricola? La motivazione va ricercata nella percezione del territorio da parte dell’opinione pubblica lombarda che in larga parte non conosce affatto il territorio del Parco agricolo Sud Milano. Non esistono dati in grado di valutare oggettivamente la conoscenza collettiva in merito a questo argomento ma, fatta eccezione per poche realtà organizzate, nate soprattutto negli ultimi anni, la gran parte della popolazione è del tutto estranea alla vocazione agricola del territorio che vive e frequenta quotidianamente. Il Parco agricolo Sud Milano è vissuto dai pochi appassionati come un luogo ameno di natura, biodiversità e abbazie dove fare scatti d’autore o trascorrere qualche ora nel fine settimana. Il valore storico, culturale e naturalistico è effettivamente immenso e da valorizzare ulteriormente ma non può rappresentare la ragion d’essere di un parco. agricolo, per l’appunto. Lo stesso statuto è, forse, figlio di una visione iperconservativa che ha finito, paradossalmente, per mettere a repentaglio quei terreni che mostrano una redditività troppo bassa per competere con altre destinazioni d’uso che compromettono irrimediabilmente la fertilità dei suoli.
L’ente Parco è riuscito (con alcune importanti eccezioni) a conservare i confini decisi nel 1990 e a lasciare un territorio libero dall’impermeabilizzazione diffusa. Le potenzialità di un territorio così ricco sono di conseguenza ancora alla portata. È necessario evidenziare quale priorità la sostenibilità economica delle aziende agricole i cui titolari devono essere giustamente remunerati per la qualità dei prodotti agroalimentari. Le spinte imprenditoriali devono essere adeguatamente stimolate, organizzate e orientate all’innovazione tecnico scientifica e quindi alla produttività. In questo processo, le istituzioni non possono limitarsi a conservare il territorio, sebbene questa sia un’azione propedeutica. Se si torna ai tre scenari prospettati all’inizio del testo, l’agricoltura produttiva deve essere la prospettiva a cui l’ente Parco deve tendere partendo dagli esempi positivi che ci sono e che sono rappresentati dalle aziende emergenti che investono sulla qualità e sul marketing. Produzione, economia, biodiversità e cultura non sono affatto in contrapposizione ma richiedono un lavoro intenso di armonizzazione, mediazione e condivisione con tutti i portatori d’interesse. Il Parco agricolo Sud Milano è nato dal basso. Associazioni e società civile hanno già fatto la loro parte. Il completamento del progetto spetta adesso alla politica e alle istituzioni che con razionalità devono declinare il principio di sostenibilità partendo dalla conoscenza del territorio». (16.03.2016)
IL RISO E’ SOST
Presentati i risultati della sperimentazione Risosost