A cosa serve l’etichettatura d’origine del riso? A questa domanda ha risposto la Coldiretti fin dal 2017, con un documento presentato al Gruppo di lavoro (GL) riso del Copa che, dopo essere stato condiviso dai risicoltori europei, è stato presentato anche al Gruppo di dialogo civile (GDC) della Commissione europea, e recentemente è entrato nel dossier del forum sul riso europeo del 26 giugno 2021. Di fatto, è il documento che ha spianato la strada alla formazione di uno schieramento favorevole a questa scelta. Il documento si può scaricare (RISO – Indicazione paese di origine GL 04.05.2017) e in sintesi dice questo: la Commissione europea preventiva stock di riso importanti; la produzione del riso nei paesi dell’UE rappresenta la storia, tradizione, cultura, paesaggio, fornisce un importante contributo all’economia e dell’occupazione; come pure importante è il contributo ambientale della risicoltura; se i produttori europei non continueranno a coltivare questo prodotto ci sarà un danno ambientale oltre che economico; le importazioni dai PMA stanno mettendo a rischio la sopravvivenza della risicoltura europea, la sicurezza ambientale e la sicurezza alimentare; e l’unico modo per informare il consumatore di questo pericolo è l’indicazione obbligatoria del Paese di origine in etichetta.
Su questo punto tutte le componenti agricole sono d’accordo: « I risicoltori dell’Ue, così come formulato nel documento Copa-Cogeca – recita infatti il rapporto finale del forum, trasmesso dal presidente dell’Ente Risi Paolo Carrà alla Commissione europea -, ritengono che l’etichettatura debba obbligatoriamente prevedere l’indicazione del Paese in cui il riso è stato coltivato». La posizione dell’industria, che nel 2017 attraverso Salvador Loring aveva aperto uno spiraglio, restano a favore dell’etichettatura volontaria come dimostra questo articolo.