La risicoltura europea perde competitività per la concorrenza aggressiva delle importazioni dei Paesi Meno avanzati, e per la mancanza di un’efficace difesa fitosanitaria della risaia: questa l’analisi della situazione del settore risicolo italiano che il Copa Cogeca, attraverso il presidente del gruppo riso Giuseppe Ferraris (foto piccola), sintetizza in una nota che è stata presentata all’assemblea dei risicoltori europei e diventerà il canovaccio di un’azione politica per ottenere delle sostanziali modifiche della normativa europea. In quest’articolo riportiamo integralmente la parte relativa alle importazioni dai Paesi extracomunitari, che si conclude con tre richieste: reintroduzione del dazio, etichettatura obbligatoria e fondi per la promozione.
Ecco il testo: «E’ ormai indispensabile e urgente trovare una soluzione al problema delle importazioni di riso dai paesi dell’Asia sud-orientale che riguardano in particolare la Cambogia e il Myanmar (ex Birmania) che sono esentati dai dazi in quanto PMA (Paesi Meno Avanzati) ma, in prospettiva anche India, Thailandia e Vietnam, che sono i primi tre esportatori mondiali di riso.
Le importazioni nell’UE di riso a dazio zero proveniente dai PMA sono passate in 6 anni da 10.000 t a 400.000 t, e rappresentano ormai il 33% delle importazioni europee totali di riso.
La sola Cambogia ha esportato nel 2015-16 oltre 314.000 tonn. di riso lavorato nell’UE, che ormai rappresenta la principale area di sbocco del prodotto cambogiano, mentre nel 2009 esportava appena 6000 tonn..
Nel frattempo anche il Myanmar ha aumentato del 400% in soli quattro anni le sue esportazioni di riso e rotture di riso verso l’UE, passando da 36.000 a 151.000 tonn..
La situazione di cui sopra sta determinando da tre anni la progressiva riduzione delle superfici coltivate con riso del tipo “indica”, scese a livello UE da 156.000 a 96.000 ha (-40%) e in Italia da 71.000 a 35.000 ha (-50%).
Se questa tendenza non si arresterà, la coltivazione del riso di tipo “indica” (destinato principalmente al mercato europeo) nel nostro Paese rischia di scomparire entro il 2020.
Ma le conseguenze sono pesantissime per tutta la filiera risicola italiana; nella campagna 2016-2017, che si è aperta il 1° settembre 2016, le nostre industrie risiere saranno costrette ad assorbire l’aumento dei prezzi del prodotto nazionale e dovranno comunque importare riso indica “duty free”, lavorato dalla Cambogia e semigreggio dalla Guyana, per rimanere competitive sul mercato comunitario. Già nella campagna 2015-2016, appena conclusa, le importazioni italiane hanno superato le 90.000 tonnellate, con un aumento del 30% rispetto alla media delle cinque campagne precedenti.
Per le riserie italiane la concorrenza del prodotto asiatico sta comportando la perdita di quote importanti del mercato UE (tradizionalmente il riso italiano detiene oltre il 50% del mercato europeo) con la prospettiva di dover cessare l’attività.
Ne uscirebbero drasticamente ridimensionate attività economiche agricole e agroindustriali importanti e tipiche della pianura padana, radicate da oltre 150 anni in Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna.
Per questo motivo è imprescindibile ottenere interventi urgenti a tutela della filiera del riso che prevedano – in deroga al regime preferenziale PMA-EBA – la reintroduzione di un dazio, eventualmente anche ridotto (il dazio ordinario attuale è pari a 175 euro/tonn) o il contingentamento della quantità importata, per il riso di tipo “indica”originario dei Paesi Meno Avanzati.
Ciò consentirebbe di ripristinare un sufficiente grado di protezione per il riso comunitario, senza pregiudicare per questi Paesi la possibilità di continuare a esportare verso l’UE entro limiti sopportabili per i produttori europei.
Appare comunque necessario estendere anche al riso le regole comunitarie sull’etichettatura obbligatoria di origine degli alimenti, già applicate al latte e alle carni. E’ un’esigenza fortemente sentita sia dai consumatori italiani sia dai nostri risicoltori, che nell’indicazione dell’origine italiana del riso vedono un’opportunità di valorizzazione del loro prodotto.
A questo scopo il riso deve anche poter utilizzare i nuovi fondi per la promozione dei prodotti agroalimentari europei, che sono stati stanziati dall’UE per i prossimi tre anni».