Nei giorni scorsi, si è tenuto il webinar conclusivo del progetto Riso Resiliente, facente parte del contesto Rete Semi Rurali e nato grazie al sostegno della Fondazione Cariplo, che punta a contribuire ad innovare il sistema risicolo ricercando le varietà maggiormente adatte alla risicoltura biologica e biodinamica, per le varie tecniche e nei diversi areali di produzione della stessa.
I ricercatori sono partiti, nel 2019, da 17 varietà precoci costituite dal 1957 ad oggi, in possesso del Crea di Vercelli, e da 224 varietà, di origine italiana ma conservate presso l’istituto internazionale di ricerca sul Riso nelle Filippine, “International Rice Research Institute”(IRRI). Dopo aver creato campi sperimentali (con blocchi randomizzati)in 4 aziende risicole, gli studiosi hanno svolto una valutazione partecipata in campo, grazie al contributo di diversi agricoltori. Nel 2020 sono state nuovamente seminate alcune varietà in blocchi randomizzati, basandosi sulle risposte degli agricoltori nell’anno precedente. Questa volta si è lavorato in 5 aziende risicole e si è proceduto nel medesimo iter valutativo dell’anno precedente. I parametri valutati dagli agricoltori sono stati: resistenza a infezioni fungine, precocità, altezza del culmo e la resa. Le 4 aziende che hanno partecipato per entrambi gli anni al progetto sono: Cascine Orsine a Bereguardo (PV), Marco Cuneo a Abbiategrasso (PV), Terre di Lomellina a Candia Lomellina (PV) e Una Garlanda a Rovasenda (VC). Il secondo anno si è aggiunta Cascina Dulcamara di Romentino (NO).
Salvatore Ceccarelli, referente scientifico della Rete, ha valutato le produzioni nelle varie aziende e le impressioni degli agricoltori nei campi prova coltivati nelle campagne 2019 e 2020, arrivando a concludere: «I risi che si sono mostrati più produttivi nelle aziende sono stati Rosa Marchetti e Baldo, presso Una Garlanda abbiamo avuto produzioni importanti anche della varietà Alpe. Riguardo alle infezioni fungine molte varietà si sono mostrate suscettibili in regime biologico, tuttavia le varietà più resistenti sono state: Baldo, Russo (leggermente suscettibile al mal del collo), Corbetta, Chinese, Rosa Marchetti, Carmen, Novara e Lomellino. Valutando le varietà nel suo complesso abbiamo ritrovato un gruppo che ha dimostrato valori ottimali in tutti i parametri ad eccezione della precocità, ad esempio Baldo e Chinese.
In tutte le aziende abbiamo riscontrato un’importante coincidenza tra le valutazioni degli agricoltori che hanno partecipato alla ricerca e i risultati finali, soprattutto riguardo alle rese. Questo fattore, oltre a dimostrare la notevole competenza degli operatori del settore, chiarisce quanto essi possano essere importanti all’interno di una ricerca scientifica. Abbiamo valutato anche la stabilità delle rese tra le annate 2019 e 2020, notando che la varietà Novara si è presentata molto stabile nell’azienda di Abbiategrasso, Carmen è la più stabile a Bereguardo e Candia, Gritna e Bertone sono le più stabili a Rovasenda. In generale, tuttavia, abbiamo riscontrato una forte diversità nei parametri, probabilmente in seguito ad andamenti climatici assai differenti tra le due annate. Per questi motivi ritengo, in conclusione, possa essere molto interessante continuare in questo tipo di sperimentazione nei prossimi anni, in modo da valutare il comportamento delle varietà con oculatezza, in virtù di analisi effettuate in condizioni climatiche ed agronomiche differenti. Questa valutazione si affinerà sempre più, dividendo le varietà che hanno ottenuto i parametri migliori dalle altre ed unendole in miscugli omogenei, al fine di individuare e selezionare una varietà che sia naturalmente adatta alla produzione biologica per ogni areale».
Daniela Ponzini, agronoma delle Rete, aggiunge: «I risultati ottenuti in questi anni, come specificato da Salvatore Ceccarelli, non possono essere considerati definitivi, per questo stiamo valutando quale sia la miglior strada da percorrere per proseguire in questa ricerca e vogliamo che anche gli agricoltori prendano parte a queste decisioni. Gli obbiettivi a cui abbiamo pensato sono: valutare le caratteristiche post raccolta di queste varietà, il loro adattamento alle tecniche di coltivazione biologica (codificate negli anni) e comprendere meglio le caratteristiche del materiale con cui lavoriamo. Riguardo al primo tema vogliamo valutare le rese alla lavorazione e se vi sia la possibilità di lavorare su miscugli anche in fase di sbramatura. Per quel che riguarda l’adattabilità delle tecniche agronomiche stiamo pensando di lavorare per miscele, che abbiamo formato in seguito ai risultati e alle caratteristiche merceologiche pre-analizzate. Per la caratterizzazione del materiale pensavamo di procedere ad analisi di laboratorio al fine di comprendere meglio i contenuti nutritive e di svolgere prove di degustazione. Un’altra questione importante è quella legale, fondamentale da approfondire per capire se si possa commercializzare del materiale eterogeneo, che cercheremo di risolvere prossimamente. A nome dei colleghi ricercatori, infine, voglio ringraziare profondamente gli agricoltori, capaci di fornire un apporto tecnico e umano fondamentale in questa ricerca, corredato da spunti interessanti, stimoli sempre nuovi e supporto nello svolgimento delle operazioni». In seguito ci sono stati gli interventi di alcuni agricoltori che hanno preso parte al progetto, i quali hanno parlato tutti molto positivamente della loro esperienza all’interno della ricerca e auspicato il loro coinvolgimento nel suo proseguimento. L’ottimo riscontro da ambo le parti, ricercatori e agricoltori, rende un primo grande risultato definitivo di questo studio, ossia l’aver chiarito che la ricerca partecipata in agricoltura può dimostrarsi un ottimo mezzo per unire il valore teorico a quello pratico, in un settore in cui ciò è indispensabile e molte volte complesso. Autore: Ezio Bosso
Se vuoi seguirci sui social, collegati alle nostre pagine Facebook, Instagram, Twitter, Linkedin