La riforma della Pac è l’argomento dell’anno e la Cia è pessimista. Pino Cornacchia, responsabile del Dipartimento Sviluppo Agroalimentare e Territorio CIA spiega: « Sono ancora troppe le variabili in gioco. Vorrei cogliere l’occasione per un paio di riflessioni. Ma s0no necessarie due premesse: la prima riguarda l’incertezza del budget per la Pac per cui il mondo agricolo chiede con forza il mantenimento del budget passato almeno a valori nominali. Dato che l’attuale proposta della Commissione prevede un calo del 4% circa sul primo pilastro e del 15% sul secondo, alcune indicazioni del Consiglio sono ancora più preoccupanti. I giochi non sono ancora chiusi soprattutto per quanto riguarda la cosiddetta “convergenza esterna”, lo strumento finanziario che tende a riequilibrare il valore medio del pagamento per ettaro a vantaggio soprattutto dei Paesi dell’Est, nuovi membri comunitari. C’è soprattutto incertezza sul meccanismo da scegliere per operare questo riequilibrio, che potrebbe essere molto penalizzante per l’Italia. Per questo è importante che il nostro Paese non si isoli nel confronto comunitario come ha rischiato di fare e sta rischiando ancora su alcuni temi come il “new delivery model” e “l’eco-schema”».
Cambiare mentalità
La seconda premessa che fa la Cia è più complessa. «Noi siamo abituati – spiega Cornacchia – ad ogni nuova Pac a confrontarla con la precedente, valutare i cambiamenti e “stimare le perdite”. Questo gioco sta diventando molto pericoloso, perché non è davvero più il tempo di guardare indietro (anche se è lo fanno tutti). La Pac è nata, oltre cinquant’anni fa, sulla base di un principio di fondo: la necessità di avere in Europa un’agricoltura forte e nello stesso tempo la constatazione che le imprese europee erano strutturalmente impossibilitate a competere con altre agricolture mondiali. Avevamo cioè bisogno di “strumenti compensativi”, che in un primo momento erano di mercato (prezzi di intervento, ritiri, dazi sulle importazioni,…), in un secondo momento (dagli anni 90 del secolo scorso) in base agli accordi internazionali del WTO, sono diventati “pagamenti compensativi”, accoppiati o disaccoppiati. Tutto era basato sul principio cardine della “compensazione”. Ma oggi questo principio non funziona più per una serie di motivi. La società è molto cambiata, nuove sfide incombono. Ma soprattutto, gli addetti agricoli sono una percentuale molto limitata, rispetto al passato, da non giustificare, per molti, una politica così onerosa. Nello stesso tempo la crisi globale sta dimostrando che se accettiamo la logica della “compensazione”, ci sono tanti altri settori in crisi, anche nell’industria, e tanti altri potrebbero con una certa ragione pretenderla. Va crescendo inoltre la consapevolezza che l’agricoltura oltre a produrre beni alimentari, produce sempre più fondamentali servizi ecosistemici, indispensabili per la transizione verso lo sviluppo sostenibile, assolutamente prioritari per un mondo che vorrebbe raggiungere la cosiddetta “neutralità carbonica”. La Pac più che mirare a “compensare” gli agricoltori deve sempre più puntare, dunque, a remunerarli per i servizi che svolgono ed incentivarli per quelli che potrebbero incrementare. Certamente il tema è complesso, occorre concretezza, gradualità e soprattutto un forte radicamento analitico. Occorre perseguire un ambientalismo scientifico e non quello magico di chi ha soluzioni immediate e taumaturgiche… La mia preoccupazione è che, soprattutto in Italia, per difendere vecchie politiche compensative, in forte ed inarrestabile declino, si perda l’occasione di costruirne di nuove e più efficaci. E questa preoccupazione è più forte per settori, come quelli del riso, che in passato hanno avuto, relativamente, sostegni più alti. Piuttosto che cercare di arroccarci su logiche “storiche” dovremmo cominciare a costruire strumenti più finalizzati per innovazione, organizzazione commerciale, gestione del rischio (sia produttivo, che di mercato)».
I titoli crolleranno
Fatte queste due lunghe premesse, affrontiamo il tema dei temi: «i titoli dei risicultori sono destinati con la nuova Pac a scendere significativamente almeno per tre motivi – dichiara il responsabile Cia -, anche se il nostro Paese scegliesse di mantenere i titoli storici e rivalutarli alle nuove condizioni:
– per la riduzione del budget, più o meno pesante sulla base della convergenza esterna…
– per il meccanismo obbligatorio e rafforzato di “convergenza interna” che a differenza del cosiddetto “modello irlandese” questa volta intende dare la priorità a chi ha titoli più bassi lontani dalla media nazionale;
– per l’obbligo di utilizzare una parte del budget del I pilastro per politiche specifiche, in primis per l’eco-schema (ancora tutto da definire in Italia).
Nei prossimi mesi potremmo iniziare a fare stime “affidabili”, ora è ancora tutto troppo aleatorio. In generale, si sta assistendo ad un appiattimento indifferenziato del valore dei titoli e, nello stesso tempo, si continua ad indirizzare ai pagamenti diretti una mole imponente di risorse comunitarie. Questi fattori penalizzano (come ho già detto) proprio settori imprenditoriali come i risicoltori o gli allevatori».
Il piano riso
Per Cia Agricoltori Italiani, la risicoltura italiana è un settore fortemente distrettualizzato, strategico sul piano economico, territoriale, paesaggistico e culturale. «Non va solo difeso, ma valorizzato. Per questo riteniamo necessario nel Piano strategico nazionale (per poi articolarlo sui territori interessati) prevedere un “Intervento settoriale specifico per il riso”, che funzioni sulla falsa riga degli attuali Ocm ortofrutticolo e vitivinicolo. Un intervento settoriale che favorisca: l’innovazione, la programmazione, l’aggregazione e l’organizzazione produttiva e commerciale, l’orientamento al mercato e la promozione, con ricadute quantificate sulle imprese, a partire da quelle agricole. Si tratta di generare valore aggiunto e ripartirlo equamente. Tutti gli analisti sono concordi che gli Interventi settoriali (ripeto: attualmente soprattutto per ortofrutticoltura e vitivinicoltura) hanno avuto il miglior impatto tra i diversi strumenti di politica agraria (comunitaria e non) e, tra l’altro, godono di procedure amministrative molto più semplici di quelle del Psr (ma questo è un altro discorso….). Cia Agricoltori Italiani già in fase di discussione della Nuova Pac nelle Commissioni parlamentari europee ha presentato due proposte di emendamento, che ripresenteremo adesso e poi in fase di trilogo:
– La prima intende accrescere il budget per questi interventi settoriali, ora limitato ad un massimo del 3% dei pagamenti diretti (troppo basso!)
– La seconda intende correggere l’impostazione della Commissione che ritiene che tutti gli interventi settoriali “nuovi” debbano ricalcare l’attuale logica dell’ortofrutta, cioè essere basati sulle Op (Organizzazioni di produttori). Noi chiediamo invece che, pur mantenendo gli obiettivi di fondo (innovazione, qualità, aggregazione ed organizzazione) debbano essere adattati ai diversi settori ed ai diversi contesti. Nel settore del riso in Italia esistono già strutture, per esempio l’Ente Nazionale Risi, che di fatto ha natura e svolge ruoli interprofessionali. Bisogna costruire e finalizzare partendo, quando è possibile, da quello che c’è!
Tuttavia, bisogna essere consapevoli che costruire politiche nuove ed efficaci, come degli “interventi settoriali” per il riso, comporta un lavoro collettivo di pianificazione (possibilmente in un clima di fiducia). Sicuramente è più difficile che fissare dei pagamenti per ettaro… sulla base di parametri sempre più astratti ed anacronistici. Inoltre, dobbiamo assolutamente vincere una tentazione (anzi un vizio): quello di prefigurare interventi per tutti i settori possibili ed immaginabili, banalizzandoli e vanificandoli. Producendo cioè solo ulteriore burocrazia. Ce la sentiamo di accettare queste sfide? Dovremmo provare a fare della Pac una politica che non faccia perdere e, possibilmente, che ci apra prospettive migliori per il futuro». Autore: Martina Fasani