Il 18 luglio 2018 è stato pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, il Decreto Ministeriale 6793 relativo alle regole di rotazione culturale da seguire in agricoltura biologica, che, per quanto riguarda il riso, cita: «Il riso può succedere a se stesso per un massimo di tre cicli, seguito da almeno due cicli di colture principali di specie differenti, uno dei quali destinato a leguminosa». In sostanza in 5 anni si può seminare riso 3 volte, consecutivamente o alternandolo, e bisogna seminare una leguminosa come coltura principale per almeno una volta.
La fronda bio
Questa legge ai biologici non è piaciuta, in quanto molti ritengono che il rinvigorimento del terreno ottenuto tramite i sovesci sia sufficiente per bilanciare le perdite nutritive dovute alla coltivazione del riso, nonostante esso sia sempre presente per buona parte dell’anno e, soprattutto, nei periodi di massima attività biologica. Una perplessità che è stata portata avanti tanto da contribuire alla convocazione, il giorno 1 marzo 2019 nella sala Medici del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo, del Gruppo di lavoro tecnico sulle rotazioni in agricoltura biologica, a cui hanno partecipato vari enti tra cui FederBio, Regione Piemonte e Regione Lombardia che si sono espresse su questo tema.
La richiesta della deroga
In quella sede, dal mondo del biologico è venuta la richiesta di evitare i termini ‘coltura principale’, ‘intercalare’ e ‘secondo raccolto’, sostituendoli con la canonica classificazione agronomica di colture miglioratrici, depauperanti, rinettanti, etc. Sarebbe stata poi ribadita la necessità di ripristinare nell’immediato il testo precedente del Decreto Ministeriale, per chiarire il ruolo dei sovesci nell’ambito delle rotazioni, sostenendo l’opportunità di una nota interpretativa del DM che, a date condizioni, equiparasse il sovescio ad una coltura principale. Così è stato chiesto al Ministero di chiarire nell’immediato, con atto formale, l’ equiparazione del sovescio, con determinati requisiti, a “coltura principale”, ripristinando la conformità del DM e delle deroghe regionali già concesse al disposto della normativa europea vigente. In assenza di riscontro in tempi brevi su questo versante, è stato anticipato, sarebbero partite le richieste alle Regioni ad approvare delle deroghe. Se non che le Regioni Piemonte e Lombardia non erano e non sono intenzionate a derogare ed infatti già in occasione del tavolo ministeriale il Piemonte ha ribadito la necessità di non lasciare alle singole Regioni la possibilità di concedere deroghe per le rotazioni e ha espresso parere contrario all’equiparazione di un sovescio di soli 90 gg. ad una coltura principale; anche Regione Lombardia ha sottolineato l’importanza di mantenere il rigido rispetto delle rotazioni nel riso.
Il Piemonte sblocca
Sono passati due mesi ed ancora non si era giunti ad una conclusione di questa discussione. Con i sovesci in campo, la situazione si stava facendo esplosiva, in quanto, mentre il Regolamento europeo prescrive che nelle rotazioni pluriennali ci devono stare anche i sovesci, che per definizione sono da interrare, con il DM dello scorso luglio per comporre la rotazione valgono solo le colture “principali”. Quindi anche chi fa un sovescio di veccia seminato in autunno e interrato a primavera (ad esempio) in questo modo non interrompe la successione della coltura principale. Il Piemonte però non è rimasto ad aspettare ed il 29 Aprile ha promosso un tavolo di confronto, a porte chiuse, a cui hanno partecipato i rappresentanti di vari enti risicoli ed in cui l’Assessore Regionale all’agricoltura, caccia e pesca, Giorgio Ferrero, ha ribadito come non ci si voglia discostare dallo schema 3+2. «La riunione è stata molto utile – ci ha raccontato l’assessore – poiché finalmente sono state chiarite le posizioni di tutti. Nel biologico la rotazione è uno degli obblighi fondamentali e per questo non deve essere permesso che il riso possa essere coltivato per più di tre volte in 5 anni. Ho voluto puntualizzare questa linea guida poiché la richiesta di considerare il sovescio come coltura principale, furbescamente per aggirare questo obbligo, mi è giunta più volte, fin da quando è stata emessa la Direttiva, spingendo per la concessione di una deroga. Il nostro obbiettivo è tutelare un’agricoltura veramente biologica e non di permettere guadagni immeritati, per questo non posso permettere che venga inteso come avvicendamento culturale un ciclo annuale sempre uguale a se stesso, che andrebbe a ripristinare una condizione di intensivismo lontano dal modello bio. Abbiamo chiarito che non torneremo indietro sulle decisioni prese relativamente a questa vicenda e che il ciclo dei cinque anni va rispettato, senza mettere riso per due anni. Una coltura da sovescio può rientrare in questa formula ma, per contare come avvicendamento, deve permanere per tutta la stagione colturale. Alla riunione erano presenti sia Asso.Cert.Bio che FederBio, in disaccordo su questo tema, che ha causato problematiche anche durante le certificazioni. Gli altri Enti presenti (Ente Risi e sindacati) non hanno avuto da obbiettare circa questa decisione, essendo d’accordo sul fatto che la risicoltura biologica debba fondarsi su di una rotazione completa».
Il nodo pacciamatura verde
Parole chiare che sembrano risolvere la questione, ricordando che la rotazione deve avvenire obbligatoriamente in regime veramente biologico, che sarebbe altrimenti impossibile da ultimare, a causa delle infestazioni mano a mano crescenti ed incontrollabili, se non si alternano le coltivazioni in ogni periodo dell’anno. Ora però bisogna definire le condizioni per le quali un sovescio può essere considerato alla pari di una coltura principale nel calcolo di una corretta rotazione. Il criterio è quello dell’arco temporale che intercorre fra l’emergenza delle piante e la loro fioritura, che ovviamente varia a seconda della zona e della stagione (al sud possono essere sufficienti anche 70 gg per produrre effetti sul suolo e per contrastare parassiti e infestanti, al nord difficile pensare a meno di 120 gg). La pacciamatura verde è definita “cover crops” e non sovescio e per essere equiparata al sovescio è necessario che la pianta venga interrata o comunque si decomponga nel terreno, producendo anche effetti di miglioramento del suolo. Proprio per definire questi aspetti si dovrebbe fare una linea guida regionale, ampliando alle altre colture quella già esistente sul riso bio. Autore: Ezio Bosso