Le tecniche alternative di coltivazione del riso sono al centro del progetto RISTEC coordinato dall’Ente Nazionale Risi, rappresentato dal dr. Marco Romani, in collaborazione con l’Università di Torino, rappresentata dalla prof. Celi e dal prof. Sacco. Il 9 novembre si è svolto il field tour di fine campagna in cui si è fatto un bilancio dell’annata appena terminata e si sono ipotizzate le linee guida per il 2019. La giornata dimostrativa è iniziata nell’ azienda agricola condotta dal risicoltore Adriano bandi di Nicorvo, da diversi anni specializzato nella tecnica del sovescio di leguminose, ed è proseguita presso i campi sperimentali del Centro Ricerche dell’Ente Risi a Castello d’Agogna.
Nella prima parte della visita si sono verificate le condizioni per realizzare un sovescio ottimale, che richiede in genere l’impiego di leguminose resistenti a ristagni idrici e freddo, come la veccia vellutata (Vicia villosa), di cui Riso Italiano parla già da tempo (https://www.risoitaliano.eu/il-sovescio-riscoperto/). Nella seconda parte si sono approfonditi gli aspetti tecnici legati alla pratica della sommersione invernale, che sembra dare i migliori risultati quando il residuo colturale è trinciato e risultati meno buoni se i residui sono rullati o lasciati in andana. Appaiono invece molto complesse le possibili interazioni tra la tecnica della sommersione invernale e l’equilibrio idrico del sistema delle risaie, che secondo alcuni tecnici è messo in pericolo dalla eccessiva diffusione della semina in asciutta. Siccome le prospettive di una riduzione importante della disponibilità di acqua sono preoccupanti per il futuro potrebbero diventare interessanti studi per avere ammendanti del terreno che consentano di trattenere l’acqua nel suolo, anche se questo fatto potrebbe essere un problema in molti terreni di risaia in cui il fattore critico è costituito dalla difficoltà nell’ allontanare l’acqua in eccesso.
Presso i campi del Centro Ricerche dell’Ente Risi si studiano anche tecniche di agicoltura biologica. In particolare si sono visitati campi in cui si effettua un sovescio di graminacee (come avena o loietto) che poi vengono schiacciate con un rullo prima di effettuare la semina a spaglio e poi la sommersione: le erbe infestanti sarebbero a quel punto penalizzate dalle fermentazioni della massa e dall’ostacolo che la massa vegetale crea alla loro germinazione. I difetti della tecnica sembrano legati alla grande quantità di seme richiesta che sarebbe di 300 kg per ettaro e anche alle fortissime emissioni di gas con effetto serra che sono molto pericolosi per l’equilibrio ambientale. Autore: Pierfrancesco Greppi.