I ricercatori Prof. Dr. Dr Christian Henning (Università di Kiel) and Dr. Peter Witzke (EuroCare, società indipendente specializzata in valutazioni agricole residente a Bonn) hanno prodotto uno studio su quanto potrà accadere in seguito all’applicazione del Farm to Fork (F2F). Per l’elaborazione dello studio è stato utilizzato lo stesso schema di valutazione C.A.P.R.I. dello studio della JRC (organizzazione scientifica della Commissione Europea). Lo schema è molto dettagliato, fa riferimento all’evoluzione di produzioni, prezzi, riduzione dei gas serra e incremento della biodiversità.
I risultati previsti per il 2030, media di tutta la Comunità Europea:
PRODUZIONE: carne -20%, latte -6,3%, cereali, -21,4%, semi oleosi -20%. Il numero degli animali da carne si ridurrà del 45%, e quelli da latte del 13,3%.
PREZZI: Carne bovina +58%, carne suina +48%, latte +36%, frutta e verdura +15%, semi oleosi +18%, cereali 12,5%
SUPERFICI: il 10% della superficie dedicata alla biodiversità espanderà a set-aside 10 milioni di ha, mentre la coltivazione biologica aumenterà di 330.000 ha.
IMPORT-EXPORT CON DAZI ECOLOGICI: Queste previsioni dovrebbero avverarsi solo se verrà penalizzata l’importazione delle merci estere la cui produzione richiede maggiori emissioni di CO2 rispetto a quelle europee tramite pesanti dazi. I cereali passeranno da 22,4 milioni di tonnellate esportate ad una importazione di 6,5 milioni di tonnellate. L’esportazione di carne suina si ridurrà da 4,3 milioni a 1 milione di tonnellate. L’esportazione di latte si ridurrà da 5,9 a 4,9 milioni di tonnellate. L’importazione di semi oleosi si incrementerà da 17 a 22 milioni di tonnellate. Infine, le importazioni di frutta e verdura passeranno da 10 a 22 milioni di tonnellate. L’aumento dei prezzi delle derrate alimentari incrementerà le entrate delle aziende agricole di 42 milioni di €, mentre l’industria di trasformazione I consumatori perderanno circa 70 milioni di €, pari a 157 € pro capite. I margini economici per gli allevamenti aumenteranno di 55 miliardi, ma si ridurranno di 21,3 miliardi per le coltivazioni. L’industria di trasformazione perderà da 0,02% al 26,9% dei profitti, in funzione del tipo di prodotto trasformato. In questo scenario, il costo delle maggiori importazioni, e del calo delle esportazioni è valutato in 42 miliardi di Euro all’anno.
IMPORT-EXPORT SENZA DAZI ECOLOGICI: Se invece gli scambi mondiali manterranno gli attuali prezzi, scenario più credibile, visto che pare improbabile che i nostri fornitori di cibo accettino questo tipo di dazio previsto nel Green Deal, l’agricoltura perderà almeno 40 miliardi di € di incassi, 242 €/ettaro, mentre industria trasformatrice e consumatori non avranno perdite.
EMISSIONI DI GAS SERRA: si ridurranno in Europa di 54,3 milioni di tonnellate, ma i Paesi extra-UE per produrre il cibo che a noi manca, ne produrranno 54,3 milioni in più, quindi a livello globale non si otterrà alcun progresso nella lotta al cambiamento climatico. Secondo lo studio la situazione potrebbe migliorare se si riducessero drasticamente i consumi di carne in Europa.
BIODIVERSITA’: l’indice di biodiversità (BPF), grazie soprattutto al 10% di terreno dedicato, aumenterà da 0,62 a 0,70, quindi del 12%
Conclusioni dello studio sull’applicazione del Farm to Fork
Il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal non è ottenibile con l’uso di una tecnologia limitante la produzione agricola, ma piuttosto tramite una governance innovativa e intelligente, con meccanismi che coniughino la flessibilità e la compatibilità incentivante dei meccanismi di mercato con la sicurezza progettuale degli interventi di politica regolatoria. Inoltre, questi efficaci meccanismi di governance dovrebbero consentire un adattamento flessibile delle politiche regionali e distribuzione temporale dei costi e dei benefici al mutare delle condizioni quadro, come ad esempio progresso tecnologico o cambiamenti nei flussi del commercio internazionale.
In questo contesto, le quote negoziabili (sistemi di scambio di quote di emissione), come sono già state stabilite per le emissioni di CO2 nel settore non agricolo, rappresentano uno strumento promettente e potrebbero essere sviluppate anche per il monitoraggio efficace ed efficiente di altri servizi ecosistemici come il bilancio N o addirittura la biodiversità.
Le nostre osservazioni
Nello studio non si fa parola di sicurezza alimentare, ma è ovvio che i Paesi extra-europei ci venderanno solo il surplus del loro fabbisogno, in continua crescita insieme alla popolazione; se non ci basterà dovremo metterci a dieta. Si invoca la riduzione dei consumi di carne, ma per fortuna non si parla di riduzione di consumo di latte, essendo noto che nell’infanzia le sue proteine sono essenziali per il corretto sviluppo del cervello. Ma le vacche, nonché le pecore e le capre, non producono latte senza partorire periodicamente: cosa ne faremo dei piccoli? Oppure dovremo trovare il modo di iniettare ormoni nelle madri, affinché producano latte di continuo senza mai partorire? Non si dice che la riduzione del consumo di carne dovrebbe essere sostituita da un incremento di produzione, o meglio, visti i dati, di importazione di proteine, fornite dai semi oleosi (soia, colza, girasole…). A meno di ricorrere agli insetti, che però, se allevati, dovranno essere anche nutriti.
Le conclusioni dello studio stroncano i divieti del F2F, ma sono troppo generiche e fumose nel suggerire strategie praticamente attuabili. Tutti gli studi finora proposti utilizzando il modello C.A.P.R.I. trascurano incredibilmente il fatto che l’attività agricola è l’unica tra tutte quelle umane che, oltre ad emettere CO2, ne cattura quantità molto maggiori tramite la funzione clorofilliana, che la trasforma in zuccheri ed ossigeno. Più le piante sono coltivate in modo intensivo, quindi sono molto vigorose e produttive, più CO2 viene catturata per unità di superficie. Si cita sempre la biodiversità e si ignora l’agrobiodiversità, quindi i milioni di varietà di piante coltivate ottenute tramite il miglioramento genetico. L’agricoltura per sua costituzione si occupa di favorire le piante coltivate, e tutti gli esseri viventi che sono loro utili, contrastando le specie patogene o concorrenti per lo spazio, l’acqua, la luce ed i nutrienti. Altrimenti, non sarebbe più agricoltura e non produrrebbe più cibo. Autore: Giuseppe Sarasso, agronomo