Assosementi lancia l’allarme seme certificato, peraltro confermato dai dati del Cra Ense. I risicoltori, dal canto loro, mugugnano: i prezzi sono bassi e il seme costa troppo, meglio riutilizzare quello aziendale… Abbiamo voluto chiedere a un sementiero come stiano veramente le cose. L’intervistato è Carlo Minoia, responsabile riso della Sis (nelle foto).
Voi sementieri sostenete che il seme certificato conviene. Perché?
Non è banale definire il valore di un seme certificato e troppo spesso si commette l’errore di limitarsi a guardare il seme, verificarne il colore, e chi è un po’ più attento arriva a provare la germinabilità in modo empirico. In realtà un seme certificato è e deve essere sinonimo di qualità per stare sul mercato: ovvio che costi maggiormente del seme da pila anche se è radicalmente sbagliato pensare che il suo prezzo debba essere confrontato con il prezzo del risone. Esistono motivi concreti per cui il prezzo è maggiore, motivi che un imprenditore agricolo serio sa valutare: una semente certificata, per essere definita tale, dev’essere primariamente controllata in campo dal CRA ENSE; gli osservatori fitopatologici verificano la presenza o meno di nematode; successivamente, sempre il CRA ENSE ne certifica la purezza varietale, la presenza o meno di riso crodo e la germinabilità… Questi controlli costano e garantiscono standard davvero inarrivabili per il seme da pila.
Cosa c’entra la tracciabilita del prodotto con la semente ?
C’entra molto e anzi sarebbe bello se ci credessimo tutti: nei mercati avanzati è essenziale, ormai, poter informare il consumatore che il prodotto che sta mangiando è stato coltivato secondo le buone regole agroambientali e nel rispetto di tutte le normative esistenti, ma soprattutto che è frutto di una produzione certificata dall’inizio alla fine, quindi anche a partire dall’impiego di un seme “made in Italy”, acquistato e coltivato dall’azienda X, ecc. cosi da poter responsabilizzare chi produce.
Facciamo qualche esempio pratico…
Di questi tempi si sente parlare di importazioni da paesi extra europei di riso indica; bene, sono certo che vengano effettuati tutti i controlli per garantirne la qualità, ma il consumatore e il trasformatore non sono in grado di conoscerne la vera provenienza e quali trattamenti ha subito, mentre una varietà indica come ad esempio la nostra varietà Sagittario, coltivata nelle aziende del Vercellese o della Lomellina con seme certificato è in grado di dire tutto di se stessa al consumatore. Valore aggiunto per la filiera e – perché no? – anche la soddisfazione di lavorare bene.
Questo però è l’anno del lungo A. Che previsioni fate?
Mi ero ripromesso di non fare più previsioni… Di certo, mi spaventa un po’ questa corsa verso il riso da interno: abbiamo tanta richiesta di sementi come Volano, Carnaroli, Sant’Andrea e Baldo e temiamo che il reimpiego aziendale di tutte queste varietà alla fine sia molto più elevato che in passato.
Una curiosità: che fine hanno fatto i risi aromatici?
Bella domanda! Non sono passati molti anni da quando in incontri ufficiali si invitavano le aziende sementiere a concentrarsi sulla ricerca di risi aromatici e ne sono stati iscritti diversi – noi come Sis siamo stati i primi ad iscrivere le varietà Italiana, Fragrance, Asia e Giglio, caratterizzate da una aroma naturale e graditissime a coloro che le hanno assaggiate – tuttavia sul piano produttivo non si capisce perchè non ci sia interesse. In pratica quel riso lo seminano pochi appassionati o chi ha un mercato specifico e non mi risulta ci siano numeri importanti.
Prevede che i risicoltori tradiranno il riso per il mais o la soia quest’anno?
Non credo a un crollo dell’ettarato: probabilmente, chi già lo scorso anno ha inserito soia nella propria azienda si ripeterà, dal momento che i prezzi hanno tenuto e le produzioni non sono state niente male, pur tenendo conto che il 2014 è stato un anno anomalo (in positivo) anche per la soia; come Sis, tutta la nostra produzione Italiana di soia, ed particolare quella a basso contenuti di fattori antinutrizionali, è praticamente esaurita! Non credo invece, nonostante le ottime produzioni di mais per ettaro, che la superficie di quel cereale aumenti. (06.02.15)