Eccoci al punto. Si può produrre – e a quali condizioni – riso biologico in Italia? Come abbiamo visto, la lotta alle infestanti ed ai parassiti rappresenta la sfida più ardua per l’agricoltura ed è stata effettuata in tutti i modi nel corso dei secoli; neppure con il grande aiuto fornito dalla chimica nell’ultimo mezzo secolo la battaglia si può dire vinta. Se si considera però che dal 1400 al 1850 il riso è stato prodotto in Italia senza alcun ausilio della chimica, si può affermare con certezza che è possibile coltivare il riso in modo “biologico”. Ma a che prezzo e con quali risultati?
Prima che Cavour introducesse i fertilizzanti chimici, le produzioni erano ferme a 14 q/ha. La fertilità del terreno veniva ripristinata mediante rotazioni quinquennali (riso-riso-mais-frumento-prato-prato), e con somministrazioni di letame prodotto dal bestiame da lavoro e da reddito. Le infestanti erano controllate mediante la monda manuale, in quanto le rotazioni non erano sufficienti a debellarle. Anzi, il primo anno di riso dopo prato vedeva una diffusa nascita dei semi di Scirpus Mucronatus, che rendeva eccessivamente onerosa la monda. Per questo, il cav. Marcone alla tenuta Colombara di Livorno Ferraris, escogitò il primo metodo di lotta meccanica, mediante un rullo in legno di peso adatto a spezzare i rigidi germogli dell’infestante, senza interrare quelli del riso, più flessibili, che in gran parte sopravvivevano al trattamento. Perfezionato successivamente da Cavour, l’attrezzo era ancora in uso nella tenuta Castelmerlino di Trino intorno al 1940. Un sistema più efficace di lotta meccanica alle infestanti fu messo a punto agli inizi del 1900 dal sig. Attilio Cabrini (Il Giornale di Risicoltura, 1916, pagg.104-109). La sua seminatrice, conosciuta come “Cabrini e Mocchi”, deponeva i semi di riso sulla sommità di prose che sagomava nel fango, ponendoli in condizione di sopportare alti livelli d’acqua, per cui negli avvallamenti tra una fila e l’altra l’emergenza dei giavoni era fortemente inibita. Mediante una sarchiatrice apposita si distruggevano successivamente le infestanti emerse. Nel suo citato, scientificamente ineccepibile, resoconto il sig. Attilio Cabrini documentò che il suo metodo permetteva un controllo delle infestanti al 50% e quindi dimezzava la spesa di monda manuale. Questa, attualizzata ai nostri tempi, ammonterebbe a 750 € per tonnellata di risone, pari al prezzo di mercato del risone “bio”. Il calcolo, puramente teorico, ipotizza di trovare persone disposte a scendere in risaia, e “dimentica” l’introduzione, avvenuta nel frattempo, di infestanti esotiche (es. Hetherantere) e di varietà di riso a taglia bassa e foglia eretta, poco competitive nei confronti delle malerbe.
In terreni sciolti, dove è possibile praticare la semina interrata a file, è stata condotta tra il 2002 ed il 2006 una sperimentazione quinquennale, finanziata dalla regione Lombardia, per mettere a punto la tecnica di coltivazione di riso biologico, mediante mondatura meccanica (Quaderni della regione Lombardia, n.51-2005, n.72,2007). La sperimentazione è stata attuata su terreno molto sciolto (75% di sabbia, 20% di limo, 5% di argilla), in grado di drenare rapidamente e permettere operazioni di strigliatura molto precise. L’impianto autunnale di colture da sovescio non è, in quel tipo di terreno, inficiato dai ristagni tipici dei terreni a risaia. Non crea neppure ostacoli alla pratica delle rotazioni, che è stata eseguita con successo. La sperimentazione, eseguita in un terreno particolarmente adatto, non comune nell’area risicola, ha fornito risultati incoraggianti, ma stranamente sono stati trascurati i rilievi, ad inizio e fine sperimentazione, sulla consistenza numerica dei semi di infestanti presenti nel terreno (banca semi). Le percentuali di controllo ottenute dalla lotta meccanica ai giavoni hanno raggiunto risultati massimi del 90%, minimi del 42% e medi del 62%, leggermente superiori quindi ai risultati conseguiti da Attilio Cabrini nel 1916, ma non sono state integrate dalla mondatura. Partendo da una bassa infestazione del terreno, si sono ottenuti raccolti soddisfacenti. Ma le piante di giavone rimaste, mediamente una per metro quadro, sono in grado di produrre notevoli quantità di semi: una pianta di giavone ben accestita può produrne da 10.000 a20.000, a seconda della specie (Jacometti, Sampietro). Le prove di lotta al riso crodo svolte negli anni’80 hanno indicato che livelli di controllo del 98% riescono a mantenere invariata la banca semi nel terreno; se sono inferiori fatalmente portano ad un incremento dell’infestazione, che rapidamente diventa ingestibile. Un esperimento di breve durata può quindi riuscire, ma se non si limita nel terreno l’incremento del numero di semi, che conservano la loro vitalità per molti anni, non si garantisce la sostenibilità della pratica nel tempo. Prova ne sia che l’azienda ospitante il citato esperimento della Regione Lombardia ha dovuto in seguito, proprio per quel motivo, abbandonare la produzione di riso biologico. Sicuramente ha anche dovuto sopportare costi di diserbo superiori alla media per riportare i terreni nelle condizioni precedenti alla sperimentazione.
In tutto il mondo si stanno sperimentando metodi meccanici per il controllo delle infestanti. In India, il sistema Cono Weeder su riso trapiantato con sesto quadrato, prevede più passaggi nei due sensi mediante una piccola fresatrice ad azionamento manuale o motorizzata: sistema che richiede un grande impiego di lavoro manuale. In Giappone, una trapiantatrice in grado di applicare una pacciamatura biodegradabile rappresenta una soluzione elegante ed efficace, ma estremamente costosa. Anche a voler applicare questi metodi a prescindere da questioni economiche, per essere certi di ottenere un prodotto cresciuto nell’assenza assoluta di fitofarmaci, occorrerebbe trasformare in “biologica” tutta l’agricoltura dell’agricoltura padana, in quanto le acque che scorrono nei canali irrigui, oltre a contenere tracce di erbicidi per il riso contengono tracce di fitofarmaci applicati alle colture delle fasce pedemontane, che vengono trasportate dalle acque. Molto più consistenti sono gli inquinamenti dovuti agli scarichi civili ed industriali, che non rientrano però nelle valutazioni eseguite per attribuire la patente di “biologico”.
Rinunciare quindi alla chimica, cosa che comporterebbe un arretramento generale del tenore di vita della popolazione, o migliorarne l’utilizzo, riducendo al minimo i danni collaterali? Sono attualmente in fase di sperimentazione metodi per eliminare la distribuzione degli erbicidi in pieno campo, limitandone l’applicazione esclusivamente sulle infestanti, tramite sistemi elettronici di riconoscimento e spruzzi localizzati. Studi in tal senso vengono svolti in Belgio (università di Lovanio) su frumento, e nella Corea del Sud (Università di Gwangju) su riso. Se e quando saranno disponibili commercialmente, questi sistemi potranno abbattere drasticamente i quantitativi di prodotto usato, con il vantaggio di ridurre i problemi di inquinamento delle acque superficiali. Non si intravedono possibilità di grandi miglioramenti riguardo invece alla contaminazione del riso lavorato, nel quale, a meno di utilizzi impropri, pur impiegando gli strumenti più sofisticati, è già ora improbabile ritrovare residui di erbicidi, caratteristica ben sfruttata dai produttori di finto “biologico”. Autore: Giuseppe Sarasso (foto piccola) (01.09.14)