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SETA VA ALLA GUERRA DEL PAN

da | 29 Set 2019 | Non solo riso

La rete SETA, che si autodefinisce l’espressione di una «rivolta morale di un gruppo di ricercatori, docenti, tecnici e agricoltori nei confronti dell’opinione diffusa che accredita l’immagine di un’agricoltura convenzionale e integrata che “avvelena il pianeta e l’economia” ha emesso una lunga analisi del Pan che, per quanto di parte (avversa ai fautori del biologico) merita di essere letta attentamente. Ricordiamo che la stessa rete SETA aveva appoggiato una mozione alla Camera nei mesi scorsi in cui sdoganava il PAN, mentre in questo commentario prende chiaramente le distanze dalla bozza. Il documento che segue nasce anche – e dichiaratamente – come vademecum per chi partecipa alla consultazione nazionale sulla bozza di Pan indetta da Mipaft, Ministero della Salute e Ministero dell’ambiente e che è aperta fino al 15 ottobre 2019.

Il documento SETA

«1. Premessa. Il ministero delle politiche agricole, di concerto con quelli della salute e dell’ambiente, ha predisposto la bozza del Piano di azione nazionale per l’uso sostenibile dei fitofarmaci per il periodo 2020-2024 ed ha proposto una consultazione pubblica per raccogliere il parere delle diverse categorie di portatori di interesse, in vista della elaborazione della versione che sarà approvata e pubblicata in Gazzetta Ufficiale dalle competenti sedi decisionali. A tale riguardo, va sottolineato come sia necessaria prima l’approvazione in Conferenza Stato Regioni e quindi, per il definitivo varo, c’è bisogno di predisporre un decreto interministeriale.

La bozza che è stata preparata contiene diversi elementi critici, sui quali si ritiene opportuno soffermarsi, auspicando che intervenga un confronto approfondito e siano introdotte le correzioni che riteniamo essenziali per rendere il Piano in linea con la normativa europea (direttiva 2009/128) e pertanto efficace nel perseguire l’obiettivo fondamentale che è alla base di detta normativa e cioè l’impiego sostenibile dei prodotti per la protezione delle piante (PPP), utilizzando in primis i principi della difesa integrata. Detto obiettivo viene invece perseguito in modo parziale in quanto il Piano tende a sconfinare verso temi non pertinenti (il sostegno e la promozione del metodo biologico e della produzione integrata) e verso scelte politiche che dovrebbero essere prese in altre sedi (la ripartizione delle risorse della futura PAC post 2020). In altri termini per essere coerente con la normativa europea e nazionale il Piano dovrebbe contenere misure per promuovere il metodo della difesa integrata (si veda l’articolo 1 della direttiva 2009/128) che è ben diverso dal sistema nazionale di produzione integrata e dall’agricoltura biologica che, invece, si tende in vari modi a sostenere, incentivare e favorire, nonostante si tratti di orientamenti produttivi e commerciali seguiti da un numero limitato di imprese. Da ciò discendono tre criticità generali che ci preme qui di seguito evidenziare.

  1. La bozza di Piano stabilisce obiettivi quantitativi impropri in termini di aumento della superficie condotta con il metodo della produzione biologica e di quella integrata¹ che prevedono regole produttive standardizzate a livello Ue (il primo) e l’esistenza di un disciplinare (il secondo), il cui rispetto è per entrambi certificato da parte di terzi. Le due tipologie di prodotti agricoli sono quindi commercializzati con un marchio collettivo (logo Ue per il biologico e logo ministeriale per la produzione integrata).
  2. La bozza di Piano prevede che nell’ambito del processo di pianificazione della PAC post 2020, si debba elaborare un “apposito documento in cui verrà rideterminata la quantificazione dei predetti obiettivi, in coerenza con la specifica allocazione delle risorse”. In pratica dunque il Piano si propone di offrire una dotazione finanziaria a interventi che (a) non sono di sua competenza, (b) assorbono già oggi quote rilevanti dello stanziamento pubblico in agricoltura e (c) presentano dotazioni finanziarie che dovrebbero essere invece stabilite nelle sedi in cui si decidono gli indirizzi e le strategie della politica agraria.
  3. Dalla bozza di Piano si evince un atteggiamento pregiudizialmente contrario all’impiego dei prodotti per la difesa delle piante in agricoltura, ignorando del tutto il basilare loro contributo per conseguire una produzione quantitativamente e qualitativamente idonea a soddisfare le esigenze del nostro sistema agro-alimentare che in alcuni importanti settori (es. alimenti per il bestiame, frumento per pane e pasta) manifesta da anni un rilevante deficit con importazioni in costante crescita. Al riguardo si sottolinea che i documenti ufficiali delle Istituzioni europee affermano che “senza prodotti fitosanitari la sicurezza alimentare di 11 miliardi di persone nel futuro è minacciata” (STOA workshop del Parlamento Europeo, 6 marzo 2019) e promuovono altresì “un quadro di azione per realizzare un uso sostenibile dei prodotti fitosanitari” (articolo 1 della direttiva 2009/128).
La bozza di Piano trascura tali fondamentali elementi, rafforzando in tal modo il pregiudizio radicato in una parte consistente dell’opinione pubblica e degli amministratori locali secondo cui i prodotti per la difesa delle piante siano dannosi a prescindere dal rispetto delle normative razionali d’impiego e pertanto andrebbero eliminati del tutto, con divieti generalizzati, senza considerare che in tal modo si provocherebbero gravi difficoltà alle imprese agricole e conseguenti rischi per l’approvvigionamento dell’industria alimentare, del commercio e dei consumatori finali e per la stessa salute dei consumatori². Al riguardo sarebbe auspicabile che nel nuovo PAN emergesse in modo più tangibile il contributo scientifico di fitopatologi, entomologi, malerbologi, tossicologi e ecotossicologi e cioè delle figure che sono garanti dell’impiego razionale dei prodotti fitosanitari.

2. Osservazioni generali

La bozza di Piano andrebbe emendata con interventi mirati a:
  • eliminare le parti non pertinenti rispetto alla finalità generale dello stesso che, va ribadito e sottolineato, è quella di formulare una serie di azioni per l’utilizzo sostenibile dei fitofarmaci e non di promuovere ed incentivare metodi particolari di produzione e di commercializzazione (come il biologico e la produzione integrata);
  • assegnare un ruolo centrale alla sezione dedicata alla difesa integrata, in modo tale da rendere il Piano coerente con la normativa comunitaria. A tale riguardo, è necessario definire obiettivi quantitativi e perciò immediatamente verificabili, prevedendo misure e azioni tali da perseguire efficacemente gli otto principi che sono alla base della normativa comunitaria e promuovendone la diffusione presso la generalità delle imprese agricole. Non si può inoltre che giudicare incoerente, stravagante e miope la scelta del Piano di promuovere e incentivare forme di agricoltura praticate da una minoranza di imprese, trascurando invece qualsiasi tentativo di migliorare l’applicazione delle tecniche di difesa integrata, peraltro considerata obbligatoria dal 2014, nella generalità del sistema produttivo agricolo nazionale;
  • valorizzare la figura del consulente per la protezione integrata delle colture, che nell’impianto del PAN è visto solo come oggetto di azione formativa/autorizzativa, e non come soggetto attivo per la fornitura alle aziende agricole di una capillare e qualificata assistenza tecnica indipendente;
  • introdurre azioni volte a sviluppare nell’opinione pubblica la consapevolezza che l’utilizzo razionale dei prodotti per la protezione delle piante è indispensabile per arrivare al fondamentale traguardo della sicurezza alimentare, intesa nel doppio significato di salubrità e di adeguata disponibilità di alimenti. In tal senso è inaccettabile che il tema tanto cruciale del dialogo con il cittadino si riduca a una sola frase, senza alcun seguito concreto e dagli effetti tangibili. Sussiste invece la necessità che il PAN dialoghi con il cittadino con riferimento specifico ai seguenti temi: la crucialità della difesa fitosanitaria per tutelare quantità e qualità delle produzioni agro-alimentari; la totale innocuità di un prodotto agricolo in presenza di residui di fitofarmaci inferiori alle soglie di legge (cosa che vale anche per il cosiddetto cocktail di fitofarmaci³). Sotto tale profilo, sarebbe il caso di impiegare un approccio analogo a quello utilizzato per i farmaci usati in medicina umana o animale e dunque ispirato al fatto che è la dose che fa il veleno;
  • prevedere norme chiare e trasparenti volte ad evitare le estemporanee e irrazionali iniziative di amministratori locali che sempre più di frequente introducono divieti immotivati e contrari alle disposizioni di legge;
  • porre in evidenza il fatto che gli indispensabili requisiti di sostenibilità ambientale debbano essere valutati con l’ausilio di metodologie internazionalmente accettate⁴ e che in genere operano con riferimento all’unità di prodotto e non solo all’unità di superficie. Ciò anche perché solo lavorando per unità di prodotto si contemperano i due interessi nazionali dell’autosufficienza alimentare e della limitazione nell’uso di suolo per fini agricoli. Inoltre lavorando per unità di prodotto si evidenzia che l’agricoltura biologica è per molti aspetti meno sostenibile sul piano ambientale di quella convenzionale.
In termini generali si coglie la tendenza nel nuovo PAN ad insistere sul messaggio che l’agricoltura si fondi oggi su fenomeni di nicchia come il biologico, il “chilometro zero” e la vendita diretta, ignorando che a livello globale la maggior parte delle disponibilità alimentari e di beni di consumo di origine agricola proviene da aziende agricole specializzate, di media e grande dimensione, orientate all’innovazione ed alla tecnologia, con elevato impiego di mezzi tecnici e che operano nel rispetto dei principi di sostenibilità. L’elaborazione dei dati strutturali di lungo periodo riferiti all’agricoltura italiana indica infatti che nel 1961 ogni azienda agricola era a servizio in media di 11,6 cittadini. Nel 2016 il rapporto è aumentato a 53 e, considerando solo le imprese professionali che producono per il mercato, si salirebbe a 120. Pertanto, poche moderne imprese agricole producono per una moltitudine di potenziali consumatori e lo possono fare solo ricorrendo ai mezzi tecnici che consentono di meglio coniugare produttività, qualità, salubrità e sostenibilità.
Siamo infine pienamente convinti che i sistemi di supporto alle decisioni (Decision support systems – DSS) che operano in base a dati meteorologici, fenologici e biologici in genere al fine di offrire informazioni utili a razionalizzare l’uso dei fitofarmaci debbano trovare spazio nelle aziende agricole a diverso indirizzo produttivo. Deve peraltro essere presente a tutti che l’onere della scelta sull’intervenire o meno debba alla fine ricadere sull’imprenditore che opera tenendo conto dei livelli di incertezza, talora rilevanti, insiti nei dati e nei modelli (così ad esempio se un modello fitopatologico indica che il trattamento debba essere seguito in una certa data è responsabilità finale dell’imprenditore quella di decidere se seguire o meno tale indicazione, anche sulla base dei falsi allarmi o dei mancati allarmi osservati nel pregresso).

3. Alcuni aspetti specifici

Tra i contenuti specifici della bozza di PAN ritenuti criticabili, quello sulla definizione di obiettivi quantitativi per la produzione biologica e quella integrata a marchio è certamente uno tra i più rilevanti. Il primo obiettivo quantitativo del Piano riguarda l’aumento del 30% della superficie condotta con il metodo della produzione integrata (SQNPI) che, come sanno gli addetti ai lavori più attenti, è cosa diversa rispetto alla difesa integrata. Il secondo e terzo obiettivo si riferisce all’aumento dell’80% della superficie biologica in aree naturali e del 60% nelle altre. Con tali scelte il Piano si pone in contrasto con la direttiva comunitaria, la quale prevede invece azioni mirate all’utilizzo sostenibile dei fitofarmaci per la generalità delle imprese agricole attive a livello nazionale.
I tre obiettivi quantitativi menzionati andrebbero soppressi e sostituiti con altri specificatamente e direttamente riferiti all’attuazione dei principi generali della difesa integrata e applicabili alla generalità delle aziende attive e non a una loro componente minoritaria. Peraltro il Piano stabilisce che, in sede di elaborazione della strategia nazionale della PAC post 2020 (l’unico strumento di programmazione pluriennale della politica agraria in Italia), sarà adottato un documento con il quale si “ridetermina la quantificazione dei predetti obiettivi, in coerenza con la specifica allocazione delle risorse”. In pratica dunque il Piano per l’utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari introduce un’opzione vincolante sulle future decisioni politiche in materia di programmazione strategica nazionale della PAC, con l’individuazione anticipata dei fabbisogni, delle priorità, degli interventi da attuare e dei finanziamenti da stanziare. In tal modo si sottraggono tali fondamentali decisioni politiche alle sedi appropriate e alla responsabilità delle istituzioni nazionali e regionali competenti.
Al riguardo si evidenzia che le fonti normative ed i documenti ufficiali dell’Unione europea in materia non giustificano in alcun modo una scelta politica di questo tipo, la quale ha un impatto economico ragguardevole in termini di ripartizione delle risorse della PAC. Infatti si stima che l’incremento della superficie a biologico prevista dal Piano determinerebbe il raddoppio dell’incidenza della dotazione del PSR per questo settore, con il passaggio da circa il 9% della programmazione 2014-2020 a circa il 18% nella successiva. E’ plausibile che una decisione così importante possa essere assunta in sede di Piano di azione nazionale sui fitofarmaci?
La bozza di Piano prevede l’obbligo di segnalazione dei trattamenti e di informazione preventiva da parte degli utilizzatori professionali e stabilisce inoltre che ciò possa essere integrato da specifiche norme o prescrizioni degli enti locali territorialmente competenti. Al riguardo si ritiene che in caso di intervento degli enti locali, si debba evidenziare che è necessario agire in base a delle linee guida predeterminate a livello nazionale e/o di Regione e Provincia autonoma che fissano i requisiti, le condizioni e le limitazioni del potere discrezionale in materia da parte di amministratori che non dispongono di competenze tecniche adeguate. Tale integrazione è necessaria per evitare che siano emanate ordinanze dettate da una pregiudiziale ostilità nei confronti dell’utilizzo secondo le norme vigenti dei prodotti fitosanitari.
La bozza di Piano prescrive il divieto di utilizzo dei droni per la distribuzione dei prodotti fitosanitari, per i quali è ammesso l’impiego in via sperimentale che può essere accordato a specifiche condizioni. Tale norma viene stabilita senza portare alcuna giustificazione razionale. Al riguardo non si può a nostro avviso ignorare che la raccomandazione n. 32 della risoluzione del Parlamento europeo sull’applicazione della direttiva 2009/128 del 12 febbraio 2019 “prende atto delle potenzialità legate all’utilizzo della tecnologia intelligente e dell’agricoltura di precisione per gestire i prodotti per la protezione delle piante” e suggerisce il ricorso ai droni per evitare la dispersione degli stessi.
La sezione relativa all’irrorazione aerea non ha subito variazioni rispetto alla versione originaria del PAN e pertanto entro 90 giorni dal ricevimento della richiesta la Regione o la Provincia autonoma completa la propria valutazione e, quindi sottopone la richiesta all’esame del Ministero della Salute (Sezione fitosanitari, già Commissione consultiva dei prodotti fitosanitari). L’autorizzazione viene in genere richiesta a fronte di situazioni emergenziali legate a particolari attacchi fitosanitari (in aree forestali soprattutto) o ad ambienti in cui la difesa non può essere realizzata da terra. A nostro avviso sarebbe utile che, soprattutto in quest’ultima situazione, le richieste e le relative autorizzazioni potessero rivestire carattere permanente.
Per quanto attiene alla difesa a basso apporto di prodotti fitosanitari, si prevedono ricerche atte ad individuare, tramite utilizzo di mezzi biologici ed agronomici, la riduzione, rispetto all’etichetta, delle dosi applicative dei fitofarmaci. Tutto ciò andrebbe perseguito “fatto salvo il rischio dello sviluppo delle resistenze” in quanto l’esperienza insegna che le resistenze si sviluppano più rapidamente quando gli agricoltori, per risparmiare sui costi elevati dei fitofarmaci, applicano dosi subletali, selezionando così dapprima le tolleranze e poi le resistenze.
Nel campo degli erbicidi, la strategia più consigliabile per prevenire e mitigare la diffusione delle resistenze consiste a nostro avviso nell’alternanza di interventi con principi attivi a diverso meccanismo d’azione, in modo da bloccare l’insorgenza delle resistenze, integrata dal ricorso a mezzi agronomici e meccanici (avvicendamenti, false semine, ecc.). La possibilità di impiegare molte sostanze ridurrebbe le quantità impiegate di ciascuna portando così’ i ritrovamenti nelle acque superficiali a tracce insignificanti o non rilevabili strumentalmente. Di tale strategia, vincente sia per l’ambiente sia per la produttività, non si parla nel testo e non si prevedono incentivazioni, preferendo seguire la via, più comoda ma poco efficace, dei divieti.
Le grandi multinazionali che producono fitofarmaci, a causa degli enormi costi di registrazione, rilasciano con lentezza nuovi principi attivi; alcune si stanno dedicando alla produzione di fitofarmaci “biologici”; l’ultima moda è quella di spacciare per fertilizzanti alcuni fitofarmaci, per non sottostare ai citati costi di registrazione, né al controllo delle dosi, non essendo registrati nei quaderni di campagna. Nell’attesa di fitofarmaci “biologici” in grado di rendere produttiva, se mai ci si arriverà, l’agricoltura biologica, quella integrata, divenuta obbligatoria, e non più incentivata, diventerà in pochi anni ugualmente improduttiva.
La Precision Farming viene citata due volte nelle premesse, con un accenno alla sua promozione. Da parte nostra vogliamo evidenziare che l’utilizzo delle irroratrici per cereali dotate di GPS e guida automatica da un lato evita che si abbiano aree non trattate e all’altro evita di avere aree trattate due o più volte, con una riduzione significativa nell’impiego di fitofarmaci oltre che dei rischi di dispersione nell’ambiente e di fitotossicità per le colture che si intende proteggere. Infatti sperimentazioni effettuate dall’Università di Torino dimostrano che con sistemi di apertura e chiusura automatica degli ugelli si ottengono, rispetto alle operazioni manuali, risparmi che vanno dal 13 % in campi di ampie dimensioni e dai confini regolari al 22% in campi di piccole dimensioni e dai confini contorti. Di conseguenza finanziare l’acquisto di tali attrezzature avrebbe effetti molto positivi in tempi brevi. E’ auspicabile che si apra su questi temi un tavolo di confronto tecnico, cui ci dichiariamo sin d’ora disponibili a fornire un contributo, che consenta di emendare le criticità segnalate in modo da dotare la nostra agricoltura di un quadro normativo adeguato alla realtà ed ai suoi fabbisogni per la difesa e protezione delle colture e delle produzioni sia in termini quantitativi che qualitativi». Autori: Ermanno Comegna, Luigi Mariani e Giuseppe Sarasso (per SETA)
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