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SENZA BREXIT

da | 18 Ott 2020 | Internazionale

Brexit

L’ultimatum lanciato dal governo britannico per la stipula di un accordo con l’Unione Europea sul futuro post – Brexit scadeva in concomitanza con la due giorni del Consiglio Europeo: tra il 15 e il 16 ottobre i capi di Stato e di governo dell’Unione europea si sono riuniti a Bruxelles in un incontro cruciale per discutere sull’emergenza coronavirus, sulla Brexit, sui cambiamenti climatici e sulle relazioni con il continente africano. Sebbene, stante la nuova ondata di contagi da Covid-19, la questione epidemiologica abbia dominato le discussioni, i nodi ancora da sciogliere sul tavolo della Commissione sono stati molti: il Consiglio è iniziato senza che fosse stato preventivamente  raggiunto un accordo tra la presidenza tedesca e il Parlamento europeo e mancava l’intesa sul prossimo Quadro finanziario pluriennale, che regola le risorse del Next generation Eu (NGEU), con il rischio di ritardi nel Recovery Fund dal gennaio 2021.

I passi finora compiuti risultavano inconsistenti, tanto che il raggiungimento di un’intesa non era assolutamente scontato e la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, aveva affermato: «L’Unione sta lavorando ad un accordo, ma non a qualsiasi costo. Le condizioni devono essere giuste (…) e c’è ancora molto lavoro che ci aspetta». Inoltre, nella lettera di invito al vertice rivolta ai leader Ue da parte del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, si leggeva: «Ci incontreremo in un contesto difficile ed abbiamo una serie di questioni urgenti all’ordine del giorno, comprese le relazioni con il Regno Unito».

La questione Brexit è irrisolta?

Accanto alle preoccupazioni sulla situazione epidemica in Europa, anche la questione Brexit ha dominato la scena, nel tentativo di trovare un accordo sul negoziato sulle future relazioni commerciali con il Regno Unito. Relazioni che si delineano come sempre più tese e complesse, mentre il tempo rimasto per arrivare ad un accordo si avvicina ancora una volta alla scadenza.

Il presidente Conte, presente al Consiglio, ha lasciato in largo anticipo la riunione per recarsi a Cosenza, ai funerali della presidente della Regione Calabria Jole Santelli e ha delegato Angela Merkel.

Gli ultimi giorni hanno visto un intensificarsi dei negoziati ma le trattative, ad oggi, stentano ancora a decollare: le parti sono rimaste arroccate sulle rispettive posizioni ed hanno acconsentito a portare avanti i negoziati ad oltranza fino al termine ultimo del 31 dicembre, quando, di fatto, scadrà l’anno di transizione, scatterà il divorzio definitivo dalla UE e il Regno Unito sarà un Paese terzo.

Ci sono ancora molte divergenze, soprattutto sulla spinosa questione dei diritti di pesca ed il fatto di non avere un testo comune su cui lavorare ha reso ancora più difficile fare dei progressi. Tutto ciò non senza una certa preoccupazione da parte degli stessi membri del Consiglio, i quali rilevano «con preoccupazione che i progressi sulle principali questioni di interesse per l’Unione non sono ancora sufficienti per raggiungere un accordo». La Commissione scrive inoltre, nelle sue Conclusioni per il capitolo Brexit, di ribadire la determinazione «ad avere un partenariato quanto più stretto possibile con il Regno Unito sulla base delle direttive di negoziato del 25 febbraio 2020, nel rispetto degli orientamenti e delle dichiarazioni del Consiglio europeo concordati in precedenza, in particolare delle dichiarazioni del 25 novembre 2018, soprattutto per quanto riguarda la parità di condizioni, la governance e la pesca».

Nuovi incontri per la Brexit

Lunedì 19 ottobre si terrà a Londra un nuovo comitato misto UE – Gran Bretagna, che si concentrerà sull’attuazione dell’accordo, ma restano molti aspetti ancora da definire, come i diritti dei cittadini, la protezione della pace in Irlanda, il mercato interno, la governance, i diritti di pesca.

I rapporti sono tesi, le divergenze su un accordo entro il 31 dicembre si sono inasprite e i ventisette mettono nero su bianco anche di essere pronti a un divorzio senza accordo, ovvero il no deal.

Lo spauracchio del no deal resta sempre dietro l’angolo e si è anche ipotizzato lo scenario peggiore, quello di un fallimento dei negoziati. Le difficoltà nei negoziati potrebbero costare caro a entrambe le parti: migliaia di miliardi di euro negli scambi potrebbero andare persi.

Risulta ovviamente chiaro a tutte le parti in gioco che, in assenza di un accordo, sarebbe cogente il rischio di nuovi dazi. Il Regno Unito importa dalla UE prodotti agroalimentari per oltre 40 miliardi di euro l’anno, pari al 72% delle importazioni totali, e rappresenta il terzo mercato di sbocco per il riso italiano nel contesto europeo. Il settore primario del Made in Italy concorre per 3,5 miliardi. In primo piano c’è anche la tutela delle 400 mila aziende agroalimentari italiane che esportano Oltremanica. La prospettiva più negativa per il settore agricolo italiano ed europeo sarebbe quella di un mancato accordo con il Regno Unito, con il conseguente ripristino dei dazi doganali e dei controlli alle frontiere dal 1° gennaio 2021, con conseguenti condizioni di instabilità.

Di cruciale importanza anche la parità delle regole in materia di criteri di produzione, sicurezza alimentare, protezione delle risorse naturali e benessere degli animali, anche nell’ottica dell’applicazione del Protocollo sulla Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord. Per l’Italia è anche essenziale il riconoscimento e la tutela dei prodotti a indicazione geografica protetta che incidono per oltre il 30% sulle nostre esportazioni agroalimentari destinate al mercato britannico. Il settore agricolo paventa una crisi di settore ed auspica il raggiungimento di un accordo entro i termini previsti nonché il consolidamento degli attuali flussi commerciali bilaterali, per non compromettere il funzionamento del mercato unico europeo.

Settore risicolo in allarme

Le Unioni Agricoltori concordano sulla necessità di un accordo commerciale tra Unione Europea e Regno Unito, che permetta di gestire una prossima fase di instabilità sui mercati agricoli europei.  Anche Coldiretti è in allarme: con l’ultima minaccia di revisione unilaterale la Gran Bretagna rischia infatti di diventare il porto franco del falso Made in Italy extracomunitario e d’Oltreoceano in Europa, se non interverrà un’appropriata tutela giuridica dei marchi dei prodotti alimentari italiani.  Cia-Agricoltori Italiani a sua volta richiama la Ue all’ordine affinché faccia quanto in suo potere per agevolare il dialogo ed evitare una “hard brexit” con il ritorno dei dazi.

In questo panorama di incertezza ed instabilità dei mercati, anche il settore risicolo è in allarme: il pericolo della reintroduzione dei dazi era già stato paventato dall’Ente Risi lo scorso luglio con una nota del responsabile dell’area mercati Enrico Losi, di fronte alla scelta del Governo del Regno Unito di non avvalersi della possibilità di una proroga oltre il 31 dicembre 2020 del periodo di transizione della Brexit.

Il mondo agricolo si prepara a tutti gli scenari e, in caso di mancato accordo, sarà compito dei ministri dell’agricoltura attivare tutte le misure possibili e finanziamenti adeguati, per reagire alla futura instabilità dei mercati che andrebbe ad aggiungersi alla delicata situazione determinata a livello globale dalla pandemia. Autore: Milena Zarbà

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