L’andamento siccitoso dell’inverno passato, che sembra estendersi alla primavera, sta creando preoccupazioni per la campagna irrigua appena avviata. Nel convegno organizzato a Vercelli lo scorso 21 marzo, il noto meteorologo Luca Mercalli, oltre ad illustrare l’ampia misura della riduzione dei ghiacciai, che sono la nostra principale risorsa idrica da Giugno ad Agosto, è stato molto vago nelle sue previsioni, ipotizzando che prima o poi, nei mesi di Aprile o Maggio, dovrebbero arrivare le piogge sulle quali contiamo per la sommersione delle risaie.
La primavera del ’65
Nella memoria di chi scrive è ancora vivo il ricordo della primavera 1965 (150.000 ha di risaia), quando la situazione era paragonabile a quella attuale. A metà aprile tutte le risaie erano pronte da seminare ma polverose; gli agricoltori, non avendo più altro da fare, vagavano per le campagne per capire se fosse possibile recuperare qualche risorsa idrica. Furono anche organizzati eventi religiosi per implorare la pioggia. La situazione si sbloccò con le abbondanti precipitazioni arrivate alla metà di maggio, che salvarono parzialmente la produzione. Da allora l’attivazione dei canali fu anticipata al 25 marzo rispetto al tradizionale 10 aprile, con buoni risultati. La sommersione dell’intero comprensorio risicolo piemontese-lombardo, che oggi supera i 200.000 ha, richiede normalmente una quarantina di giorni; ogni ritardo all’avvio sposta la fine della sommersione delle aree a quote inferiori verso date spesso troppo avanzate.
Il segreto delle colature
Il successo della sommersione dipende dal ripetuto riutilizzo della risorsa idrica tramite le colature e le risorgenze, stimolate dall’innalzamento delle falde; la mancata attivazione del fenomeno, anche con ampia disponibilità delle portate agli imbocchi dei canali, mette in crisi tutto il sistema. Per ovviare a questi problemi, previsti in peggioramento a causa dei mutamenti climatici, servirebbero invasi di enormi dimensioni, per i quali non vi sono più spazi disponibili. Ricordiamo il progetto elaborato dal compianto prof. ing. Giovanni Tournon agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso: un invaso di migliaia di ettari vicino a Mazzè, subito a monte della diga naturale rappresentata dalla Serra di Ivrea. Ciò sarebbe poco costoso da realizzare fisicamente, ma causerebbe lo spostamento coatto e la relativa compensazione economica di moltissime persone: idea impossibile da proporre ai nostri tempi.
Il lago invisibile
Il nostro sistema irriguo, sviluppato nel corso dei secoli scavando a mano almeno 15.000 km di canali, dai piccoli ai più grandi, si giova grandemente della formazione di un grande invaso, stimato in due miliardi di metri cubi, accumulato tramite la sommersione che innalza il livello delle falde freatiche, favorendo i recuperi da parte dei fontanili. Questo fenomeno, essendo invisibile, e non presentando rischi, è ampiamente ignorato da molti agricoltori, oltre che da molti politici. I Responsabili dei nostri Consorzi Irrigui da almeno un decennio stanno illustrando i vantaggi dell’accumulo nelle falde, soprattutto nei confronti dei colleghi del Polesine, che durante le riduzioni di portata del Po nelle vicinanze del delta sono danneggiati dalla risalita dell’acqua salata verso le pompe che alimentano le loro irrigazioni. Questi tornano ciclicamente alla carica, pretendendo di limitare le nostre irrigazioni in favore delle loro, ignorando che l’accumulo nelle nostre falde è vantaggioso anche per loro.
Quando si trapiantava…
Le cronache raccontano che nei primi anni successivi alla seconda guerra mondiale, quando la diffusione del trapianto aveva superato i 45.000 ha su di un totale risicolo di 145.000 ( la zootecnia, le rotazioni ed i prati erano ancora in auge, specie in Lomellina), la richiesta di acqua per la sommersione dei trapianti nella seconda quindicina di Giugno metteva in crisi il sistema. E dire che le restrizioni sulle derivazioni prescritte dall’attuale legge sul deflusso minimo vitale non esistevano ancora, nemmeno nei sogni degli indovini.
Sommergere a monte
Nelle condizioni correnti, trascurare i vantaggi dell’accumulo e del recupero delle colature sarebbe un clamoroso autogol per la risicoltura. Bisogna urgentemente utilizzare al massimo le portate disponibili, sommergendo le risaie a partire dalle aree più elevate, per scendere ordinatamente verso le aree inferiori utilizzando nel contempo tutte le colature e riproduzioni. La semina interrata a file deve essere riservata alle parti terminali del comprensorio, dove l’acqua solitamente arriva verso il termine della primavera. La scorsa settimana i Responsabili dei Consorzi hanno lanciato in modo unanime un appello affinché venga seguito il comportamento sopra descritto.
Il rischio
Se i risicoltori trascureranno questi appelli, e si comporteranno in modo individualista e scoordinato, come fanno abitualmente per la scelta delle varietà da seminare e per l’approccio al mercato del risone, non rimane che sperare nelle piogge, che cadono secondo schemi non controllabili dall’uomo, né prevedibili in modo credibile con un anticipo superiore a due o tre giorni. A nulla varrebbero le lamentele urlate nel mese di Giugno, magari anche divulgate tramite il megafono dei social media. Autore: Giuseppe Sarasso, agronomo e accademico dell’agricoltura