A inizio luglio sono solo 8300 le regolarizzazioni dei lavoratori nel comparto agricolo, il 12% del totale. La parte del leone la fanno colf e badanti. A rivelarlo è il Sole24Ore che in un articolo del sei luglio conferma le previsioni delle principali associazioni di categorie espressesi all’indomani dell’approvazione del Decreto rilancio. Ne avevamo scritto anche noi: https://www.risoitaliano.eu/la-regolarizzazione-non-ci-serve/
Cosa accade nelle aziende risicole?
Se è vero che la filiera del riso è tra le più meccanizzate e, quindi, meno richiedente mano d’opera nel suo complesso, lo è altrettanto che la produzione di seme richiede la monda al fine di ottenere una semente di qualità. La monda è un’operazione che non si può improvvisare e deve essere svolta necessariamente da personale formato capace di distinguere le piantine coltivate dal riso crodo. Oltre alla voglia di lavorare in condizioni non certo confortevoli c’è quindi una formazione di base indispensabile. La coltivazione del riso da seme rappresenta una nicchia rispetto al numero totale di aziende risicole italiane, ma questo può essere ritenuto un sotto-settore strategico le cui difficoltà potrebbero a lungo andare condizionare l’intero comparto (si pensi all’importanza del approvvigionamento nazionale di semente). Il dibattito sulle regolarizzazioni dei lavoratori in agricoltura è un tema lontano che non coglie le vere difficoltà nel reperire la mano d’opera. La necessità di mano d’opera in risicoltura, in ogni caso, ha un andamento prettamente stagionale che non viene mai definito come lavoro subordinato, bensì bracciantato. Oggi nella filiera del riso la monda è ad appannaggio quasi esclusivo della comunità cinese (con qualche eccezione dai paesi dell’Est). Ne avevamo già scritto qui: https://www.risoitaliano.eu/ci-salveranno-i-cinesi/. Perché? Abituati sin da bambini a lavorare in risaia nei luoghi d’origine, la maggiorparte della comunità cinese risiede già regolarmente in Pianura Padana oppure arriva stagionalmente dal Centro Italia (quando molta mano d’opera altrimenti impegnata nel settore tessile si libera, come nel distretto di Prato). La quasi esclusività della presenza della comunità cinese nelle fasi di monda è stata ulteriormente accentuata dalle difficoltà contingenti di far arrivare lavoratori da altri Paesi.
Parlano le province del riso
La conferma arriva dai professionisti impegnati quotidianamente sulla materia come Mariangela Loda di Cia Novara: «Esistono due tipi di sanatorie, una rivolta ai rifugiati che vogliono autodenunciare la propria presenza sul territorio e l’altra rivolta ai datori di lavoro che vogliono far emergere del lavoro non regolarizzato. Le domande arrivate dal settore risicolo sono pochissime in quanto le aziende che producono seme e richiedono molta mano d’opera non arrivano al 4% e, in ogni caso, la mano d’opera stagionale arriva da situazioni già regolarizzate. Un trend simile si osserva anche per altre coltivazioni». Stesso scenario in Coldiretti Pavia: le aziende che producono seme rappresentano poche unità rispetto alle 1500 circa totali della provincia e perciò le domande finora osservate sono pochissime e non prevediamo sostanziali incrementi nel medio termine. A portare una certa preoccupazione sulla quasi esclusività della comunità cinese nella monda del riso è il Presidente di Confagricoltura Vercelli-Biella, Giovanni Perinotti: «ormai ci stiamo avvicinando ad una forma di monopolio che rende sempre più difficile per i produttori gestire in modo razionale i turni di lavoro e la quantità di mano d’opera effettivamente necessaria. Il reperimento della mano d’opera formata rappresenta forse la criticità più grande per le aziende risicole da seme che, infatti, stanno diminuendo». Autore: Andrea Bucci