Abbiamo ascoltato i risicoltori di Cerano e Vespolate sull’esito della siccità e proseguiamo il nostro reportage con Nino Chiò di Olengo (NO). Anche per lui la situazione è difficile. «Quando era evidente che la siccità era conclamata (gennaio, febbraio e marzo i nevai erano ai minimi) abbiamo affiancato al riso con coltivazioni che hanno esigenze idriche nettamente inferiori. Da azienda prevalentemente a riso siamo diventati prevalentemente soia. Alla rotazione “risparmiosa” abbiamo introdotto l’irrigazione a pioggia. Mi spiego. Il riso si coltiva in sommersione e usa grandi quantitativi di acqua . Le coltivazioni tipo soia le abbiamo irrigate a pioggia con il cosiddetto “rotolone”. Questa tecnica ottimizza l’uso dell’acqua, perché usa da un /decimo a un /ventesimo. Coltivare soia è stato un sacrificio economico sin dall’inizio, la soia ha un minore reddito e un minore accoppiato PAC. Attrezzarsi con irrigazione a pioggia ha comportato investimenti importanti che non trovano logica nella coltivazione riso, solo la situazione che si profilava ci ha portato a queste scelte, oggi i fatti ci danno ragione . Ad oggi abbiamo sacrificato ( perso ) gli erbai , parte dei risi sui terreni sabbiosi , e parte minore della soia. Sacrificare significa scegliere chi vive chi muore, togliere l’acqua per concentrarla sui terreni con maggior possibilità di arrivare a raccolto. In sostanza togliere ai terreni più sabbiosi a favore dei terreni impermeabili con più argilla. La riduzione dell’acqua 80 – 85 – infine 90% – conclude Nino Chiò – è stata inevitabile quello che si poteva evitare è stata la chiusura totale, arbitraria senza consultazione, e senza preavviso». Autore: Elettra Bandi
Foto : Giandomenico Polenghi, risaia in Lomellina