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QUEL MARE D’INVERNO

da | 23 Gen 2019 | Tecnica

La pratica della sommersione invernale della risaia è inserita come impegno supplementare facoltativo nell’ambito delle misure del PSR dedicate alla produzione integrata o al mantenimento della biodiversità nelle risaie (i cosiddetti “fossetti delle rane”). L’adesione all’impegno comporta il mantenimento della sommersione della risaia (lama d’acqua dai 5-12 cm) per un periodo di almeno 60 giorni nella stagione invernale e per almeno due anni nell’arco del periodo di impegno. Il finanziamento concesso all’agricoltore che attua questa pratica viene giustificato con il positivo impatto che la stessa avrebbe sul mantenimento della biodiversità animale (in particolare dell’avifauna acquatica).

Barozzi: l’utilità di Ristec

Da un punto di vista agronomico la valutazione degli effetti reali della sommersione invernale andrà fatta sulla base delle sperimentazioni in atto. Flavio Barozzi, agronomo e risicoltore lomellino, sottolinea come quella realizzata dall’Ente Nazionale Risi, nell’ambito del progetto RISTEC, preveda dei protocolli sperimentali di durata pluriennale che potranno fornire dati certi sugli effetti prodotti da questa tecnica sia a livello di suoli (struttura, dotazione di nutrienti, disponibilità e qualità della sostanza organica) che di ambiente, in particolare per valutare la possibilità di contenere le emissioni GHG avviando il processo di decomposizione dei residui colturali in una fase in cui i microrganismi metanigeni del terreno dovrebbero essere sostanzialmente inibiti dalle basse temperature.

Cenzi: riduce la pressione delle malerbe

Ma quali sono gli effetti della sommersione invernale sulle infestanti? Secondo la quinquennale esperienza circa questa tecnica di Silvio Cenzi, risicoltore di Mortara (Pv), la sommersione invernale è in grado di ridurre la pressione delle infestanti in risaia, contribuendo di conseguenza a ridurre il numero di interventi necessari per un buon controllo delle malerbe: «l’efficacia della sommersione invernale è stata dimostrata anche per il controllo del riso crodo. Importante risulta l’effetto nella degradazione dei semi, che perdono la facoltà germinativa, nonché l’azione di predazione da parte di uccelli o altri animali che in inverno frequentano gli appezzamenti allagati. Dalle mie esperienze derivano risultati abbastanza controversi, con casi in cui la banca semi sembra essere stata ridotta dalla sommersione ed altri da cui emergono dati opposti: probabilmente le tempistiche della sommersione, anche in funzione dell’andamento termico, possono rivestire un ruolo rilevante. Questa tecnica provoca un’accelerazione dei processi di degradazione delle paglie, prevalentemente per azione fisico-meccanica. Ciò comporta un maggiore rilascio di azoto che risulta disponibile in primavera per la coltura. La maggiore degradazione dei residui colturali facilita, inoltre, le operazioni meccaniche di preparazione del letto di semina».

Braggio la pratica da dieci anni

Vi sono testimonianze di realtà ancor più consolidate. L’Azienda Agricola Braggio, nel comune di Zeme (Pv), da quasi dieci anni è solita praticare la sommersione invernale delle risaie, pratica introdotta su idea del professor Francesco Corbetta, per attirare e indurre gli uccelli a stazionare in risaia anche nei mesi invernali: «al termine delle operazioni di trebbiatura, l’ormai affinata tecnica adottata in azienda, prevede un passaggio con erpice a dischi combinato a dei rulli per facilitare l’incorporazione della paglia nel terreno affinché rimanga sotto il pelo dell’acqua, dopodiché le risaie vengono nuovamente allagate. La per- manenza delle condizioni di sommersione da fine ottobre a metà marzo, contribuisce alla degradazione delle paglie di riso, sottoprodotto notoriamente molto stabile, consentendo di soppiantare l’aratura, pratica normalmente necessaria per interrarle. Adottando tecniche di minima lavorazione sia per la sfibratura dei residui colturali in autunno, sia per la preparazione del letto di semina in primavera, il ricorso ad aratura e livellamento col laser è diventato superfluo, traducendosi in una forte riduzione dei costi».

Contributo nutrizionale

«A livello nutrizionale – continua Barozzi – sembra in genere confermata l’esperienza di chi, anche prima dell’introduzione della pratica nei PSR, sommergeva alcune camere di risaia a scopi venatori: in questi casi si osservava di norma un minor fabbisogno di azoto per la coltura seguente, probabilmente derivante da un diverso processo di mineralizzazione della sostanza organica derivante dai residui colturali. Tuttavia tale “impressione” andrà adeguatamente verificata sulla base dei dati sperimentali che potranno giungere dall’attività di ricerca dell’Ente Risi. Parimenti andranno quantificate eventuali interazioni in termini di rese ettariali, su cui peraltro non sembra che la tecnica abbia un’influenza particolarmente rilevante. Da un punto di vista operativo le criticità della pratica sono legate alla più o meno semplice gestione della risorsa idrica (che deve essere erogata a pagamento dai Consorzi irrigui), non sempre agevole anche per ragioni di manutenzione dei canali, di transito delle acque in fossi con più utenti, o di possibili danneggiamenti di appezzamenti vicini a causa della prevalenza idraulica. Un’altra notevole criticità è legata al rischio di non poter più accedere ai terreni interessati dalla pratica della sommersione invernale in caso di andamenti climatici particolarmente piovosi in primavera. Forse per questi motivi la pratica, che presenta comunque notevoli punti di interesse, risulta al momento quella che ha meno riscontro in termini di adesioni rispetto ai vari impegni supplementari della mis.10 del PSR».

Le prove in Lomellina

Nel 2018, per condurre le prove SAT dell’Ente Risi (mirate al controllo della flora infestante e delle produzioni), sono state prese in considerazione due diverse località, in cui alla tecnica della sommersione invernale, praticata per più anni, sono seguite lavorazioni colturali differenti: la gestione dell’azienda di Mede Lomellina (PV) ha considerato un piano di concimazione uguale in entrambe le tesi e ha adottato la semina interrata a file: tutti i parametri relativi alla produzione ed alla qualità del granello sono stati simili tra le due tesi a confronto. La presenza di malerbe iniziale, è stata maggiore nella parte sommersa, con presenza di flora tipica delle ripe. Durante il periodo di coltivazione, invece, non sono state evidenziate differenze tra i campi sommersi e non nel periodo invernale.

Le prove nel Vercellese

Nella prova di Sali (VC), invece, la semina è stata fatta in sommersione ed è stato eseguito un piano di concimazione con un risparmio di unità/ ha di azoto nel campo sommerso: i risultati produttivi e di qualità del granello sono risultati simili in entrambe le tesi e l’infestazione si è leggermente differenziata in positivo nel suolo sommerso, per quanto riguarda i giavoni ed il riso crodo.Per contro, nel suolo sommerso è stata evidenziata la presenza di giunco fiorito e cucchiaio, assente nel campo senza sommersione invernale. Con il 2018 si è chiuso il ciclo di prove su questa tecnica agronomica, che trova i suoi limiti nella disponibilità di acqua jemale nelle aziende.  Autore: Martina Fasani

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