Le proteste degli agricoltori si sono diffuse a macchia d’olio in Europa negli ultimi mesi e stanno raggiungendo proprio in queste ore il nostro Paese. Negli ultimi giorni, dopo l’ulteriore smacco del reinserimento dell’Irpef sui terreni agricoli per Iap e coltivatori diretti si sta organizzando una protesta (scopri di più).
Per meglio comprendere come siamo arrivati a questa mobilitazione facciamo un passo indietro. I primi a scendere in piazza furono Belgio e Olanda, seguiti da Francia e Germania, dove l’ultima protesta risale a dieci giorni fa. Sappiamo, anche grazie al recente articolo di Flavio Barozzi (leggi), che per i tedeschi la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata il taglio dell’agevolazione fiscale sul gasolio ad uso agricolo e l’abolizione della esenzione dei mezzi agricoli dal pagamento del bollo. I francesi hanno manifestato in primis contro la troppa burocrazia e la lentezza con cui vengono esborsati i fondi agli agricoltori.
UNA PAC SEMPRE PIÙ POVERA
Le radici comuni del malcontento diffuso tra gli agricoltori del Vecchio Continente sono relative principalmente all’applicazione della riforma Pac. Questa viene declinata in modi simili ma non identici dalle diverse amministrazioni e rappresenta un cardine fondamentale su cui si è strutturata l’Unione. Negli ultimi Quadri Finanziari Pluriennali abbiamo visto diminuire progressivamente gli stanziamenti economici. Mentre agli inizi degli anni ’80 la PAC rappresentava il 66% del bilancio dell’Unione Europea, nel periodo 2014-2020 tale percentuale ha toccato solo il 37,8% e nel periodo 2021-2027 rappresenta il 31%. Ciò significa che, nonostante la forte inflazione, l’ammontare complessivo di fondi stanziati per i due pilastri della Pac, considerando anche il contributo del Next Generation EU, è pari 343,6 mld di € a prezzi costanti del 2018, -10 % rispetto alla precedente programmazione (-10% I pilastro, -12% II pilastro) (Fonte: Parlamento Ue).
FARM TO FORK DANNOSO PER TUTTI
La strada maestra indicata dalla Commissione Ue sappiamo essere, inoltre, il Farm to Fork. Un programma che prevede entro il 2030 l’abbandono del 10% dei terreni agricoli, la conversione a biologico di un quarto della superficie coltivabile, l’abbattimento dei concimi e dei fitofarmaci oltre alla rotazione forzata dei cereali. In un dossier di Divulga, uno dei più importanti centri studio agricoli d’Europa, si analizzano gli effetti del Farm to Fork che si annunciano catastrofici. Si va verso una riduzione della produzione Ue tra il 10 e il 20%, un incremento di importazioni tra il più 39% per i cerali, il più 93% per gli agrumi e il più 209% per il mais. Ciò comporterà aumenti di prezzo folli: più 24% per i bovini, più 43% per il maiale, più 42% per olio e vino con un crollo dell’export di 20 punti.
Tali risultati evidenziano svantaggi non solo per gli agricoltori ma anche per l’elettorato, che questa strategia cercava di compiacere sicuramente più di quanto cercasse di tutelare la produzione alimentare e i suoi addetti. Per la politica, infatti, alla continua ricerca del consenso, è difficile assecondare le richieste di un gruppo ristretto di persone, i produttori agricoli, lontano da gran parte dell’elettorato. Un gruppo anche spesso considerato troppo agevolato dalle istituzioni. Ciò senza pensare al fatto che tali agevolazioni sono utili in primis a mantenere beni di prima necessità maggiormente accessibili ai consumatori, la maggioranza che i politici vorrebbero conquistare, permettendo a chi li produce di non rimetterci.
PERCHÉ IN ITALIA PROTESTIAMO SOLO ADESSO?
Queste dinamiche risultano in auge da anni così come le problematiche alla base del malcontento. Perché, dunque, le proteste arriveranno forse solo nel 2024 in Italia? Cosa ha spinto i nostri colleghi europei a mobilitarsi mesi prima di noi?
Le motivazioni della nostra “maggiore tranquillità” sono molteplici e non si riducono alla bonarietà e mancanza di coesione tipiche del nostro popolo. L’impatto della Pac nel tessuto agricolo italiano presenta diverse sfaccettature, dovute alla varietà agronomica della penisola. Le aziende italiane si concentrano in molti casi su produzioni ad alto valore aggiunto sviluppate su superfici ridotte, dunque meno legate al contributo ad ettaro della Pac. La seguente tabella, proposta sul portale del Parlamento Europeo, dimostra queste caratteristiche, esemplificative della natura vitivinicola ed ortofrutticola di buona parte del Bel Paese.
Vi sono poi casi di produzioni sviluppate su superfici maggiormente estese. Alcune di queste riescono ancora ad avvalersi di un premium price, sviluppando un processo produttivo completo che porta alla creazione di prodotti lavorati e non, storici e famosi in tutto il mondo.
LA RISICOLTURA SI SALVA CON L’ACCOPPIATO
Altre, tuttavia, si strutturano sulla vendita al trasformatore. Ciò rende il loro prodotto una commodity, un bene in cui il prezzo di vendita è definito sulla base del contesto di mercato da una commissione composta dai rappresentanti degli interessati. Sono queste le produzioni maggiormente legate al contributo, come la quasi totalità della risicoltura. In diversi casi però è stato possibile mitigare il taglio al sostegno legato al I pilastro grazie al pagamento accoppiato. Per il riso, i rappresentanti di settore sono stati capaci di dimostrare al decisore politico l’importanza economica ed il plusvalore ambientale scaturito da questa coltivazione, di anno in anno più incerta a causa dei cambiamenti climatici in atto. Ciò ha portato alla conquista di una fetta importante di questo aiuto, suddiviso con altri settori strategici. I dati seguenti, che rappresentano gli importi corrisposti per questo primo anno, sono stime della scorsa primavera che potrebbero essere imprecise.
IL GOVERNO TRADISCE GLI AGRICOLTORI
Altro elemento che ha contrastato l’insorgenza di proteste nell’ultimo anno è la natura dell’attuale Governo, considerato vicino al mondo agricolo. É forse proprio questo dato ad essere decaduto negli ultimi giorni, dopo la Legge di Bilancio, causando la mobilitazione di cui si inizia a sentir parlare. Tornando al prima, nel nostro Paese al comando c’è il centro-destra, più a destra che mai nella storia della Repubblica. Ciò a differenza di Germania e Francia, dove vi sono governi composti da verdi e socialisti e da progressisti di origine socialista. Ad oggi nel pratico di importanti battaglie vinte in favore dei produttori primari non ne abbiamo molte, ad eccezione della lotta alla carne coltivata artificialmente. È naturale, però, vi sia una maggior tolleranza per il decisore politico da parte di agricoltori e allevatori quando questo è conservatore. L’inserimento dell’Irpef sui terreni agricoli per Iap e coltivatori diretti sta spezzando l’incantesimo.Una decisione accolta con rabbia dagli agricoltori di tutti i settori e che in risaia non ha sortito proteste solo per via dell’andamento dei prezzi del risone.
PREZZI E PROFITTI
Dal 2020 ad oggi abbiamo ottenuto profitti migliori rispetto agli anni ’10, pur considerando una volatilità estrema e l’aumento dei costi. Ciò a causa di crescenti difficoltà ambientali, che ledono la produttività, ed un contesto politico ed economico instabile, capace di rendere difficoltoso il commercio globale. Questa situazione ha tamponato le difficoltà descritte finora causate dai decisori politici, che quindi farebbero bene probabilmente a tutelarla. Vedremo se dunque la protesta attecchirà anche in risaia o se la politica capirà che per ricucire il rapporto con questo mondo occorrerebbe lavorare da subito e meglio sui temi cari alla risicoltura (e non solo), come il reinserimento di dazi all’importazione. Questa battaglia potrebbe servire a calmare gli animi di una categoria pronta a farsi sentire. Autore: Ezio Bosso
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