Il 5 luglio presso la Cascina Confallonera di Ferrera Erbognone (PV) si è tenuta la presentazione della prova in campo del progetto SUBRIS, una ricerca cofinanziata nell’ambito dell’Operazione 16.2.01 del PSR 2014-20 di Regione Lombardia “Progetti pilota e sviluppo di innovazione”. Prevede l’applicazione della subirrigazione alla coltivazione del riso.
Il professor Aldo Ferrero dell’Università di Torino ha fin da subito precisato il carattere sperimentale della tecnica (la quale peraltro funziona, come dimostra la foto grande, che mostra una risaia subirrigata), che ha come obbiettivo la razionalizzazione dell’uso dell’acqua nelle aree in cui essa è un elemento critico della coltivazione: serve quindi ad estendere la produzione del riso in aree in cui, ad oggi, è impossibile.
L’utilizzazione idrica si attesta attorno ai 5000 m^3/ha, di molto inferiore rispetto al range 20000-40000 m^3/ha che rappresenta la quantità utilizzata in regimi di sommersione. Di per sé, questo sarebbe un grande vantaggio, se non fosse che – argomento spesso sconosciuto ai più – nelle nostre zone vi sono molteplici vantaggi ambientali derivati dall’adacquamento delle risaie (la ricarica della falda e dei fontanili, ad esempio); inoltre la disponibilità idrica regge, solitamente, le necessità della sommersione. Al di fuori di questa situazione, che rappresenta lo standard delle zone vocate a riso, Subris prospetta un indubbio vantaggio: la possibilità di inserire il riso in una rotazione, senza la necessità di preparare le camere alla coltura; infatti, con la subirrigazione si ridurrebbero di molto i tempi di preparazione del letto di semina e non vi sarebbe la necessità di arginature; gli avvicendamenti possibili in questo modo aumenterebbero, diventando anche più redditizi dal punto di vista economico ed agronomico. (segue)
Ma vediamo come si arriva a questi risultati. La tecnica si compone di un telo pacciamante e di un impianto di subirrigazione. Quest’ultimo è formato da ali gocciolanti che scorrono a circa 27 cm di profondità, fornendo una portata di 1,6 l/h per gocciolatore. Gli stessi sono posti ad una distanza di 40 cm gli uni dagli altri, soluzione più fitta rispetto ad altre coltivazioni a causa della minima profondità raggiunta dall’apparato radicale del riso. Può essere effettuata la distribuzione razionata, grazie al controllo elettronico ed informatico del sistema, di ogni liquido, permettendo cosi il trattamento con qualsiasi soluzione attraverso l’impianto, che è alimentato da una pompa dimensionata in base alle richieste imprenditoriali. Viene consigliato di utilizzare più pompe dividendo l’azienda in settori così da poter controllare al meglio l’attuazione, non sovraccaricare la pompa e rispettare il turno idrico richiesto dalla coltura. Una pompa con motore di potenza 25 cv riesce a servire 6 ha di terreno, con un consumo medio di 250 l/ha di gasolio durante tutto il ciclo colturale.
Il telo pacciamante è formato da biofilm di colore nero (il trasparente ha dato risultati insoddisfacenti). Ci sono due teli di questo tipo sul mercato: uno utilizza amido di mais come base del film, lavorato con prodotti chimici che rimangono in minima parte nel terreno, ciononostante esso regge durante tutto il ciclo colturale e degrada efficientemente in seguito ad interramento. Il suo prezzo viene stabilito al peso per cui lo “spessore costa” e nel caso di Novamont viene consigliato un telo di circa 12-15 micron. Esiste anche altro telo biodegradabile a base petrolifera (più impattante dal punto di vista ecologico) può reggere anche spessori di 8-9 micron senza lacerarsi, anch’esso ha un’ottima resistenza durante il ciclo biologico del riso. La semina richiede un investimento di 50 kg/ha e prevede il posizionamento di 3 semi in un foro di diametro calcolato e sempre costante. (segue)
Appare chiaro che l’investimento economico non è irrisorio, necessitando di tutta questa attrezzatura. Le criticità non si riducono però al aspetto finanziario:
- le tubature sono garantite per 10 anni e permettono solo minime lavorazioni, rendendo impossibili pratiche colturali come l’aratura, che secondo alcuni tuttavia non possono essere evitate per un lasso di tempo cosi ampio.
- La stesura del biofilm è una pratica da effettuare in contemporanea alla semina e, ad oggi, non vi sono macchine in Italia che ne permettano una riuscita efficiente; all’estero (in Cina ad esempio) vi sono mezzi più innovativi ma ancora inesplorati nelle nostre zone.
- Vi è il problema delle tare (circa 70 cm di interfila tra un telo e l’altro) che riducono di molto la produzione ad ettaro, che nella fila coltivata si attesterebbe a 65 q/ha ma al netto delle tare arriva a 40/45.
- Nelle sperimentazioni vi sono stati problemi nel contenimento delle infestanti, poiché il giavone ha dato prova del suo vigore riproduttivo, arrivando a spuntare dal foro dimensionato per la pianta di riso, crescendo fino a soffocare la pianta , occuparne lo spazio e lacerare il telo in prossimità.
Analizzando L’obbiettivo finale di totale assenza delle tare è emersa l’impossibilità di effettuare trattamenti fogliari (ad esempio un fungicida) senza rompere il film, ma il professor Ferrero ha ricordato che il sistema si inserisce in un’idea di agricoltura che si serve dei mezzi elettronici e informatici più all’avanguardia disponibili, arrivando a delineare un progetto di campo che preveda il passaggio dei macchinari necessari in apposite “rotaie” predisposte al momento della posa, grazie ai sistemi GPS.
Il progetto SUBRIS, insomma, guarda al futuro e i regimi colturali ed agronomici che prevede possono essere innumerevoli. Non da ultimo, esso fornisce un’alternativa soprattutto alla coltivazione biologica, sempre che, dato non ancora chiarito, i biofilm non lascino residui: ma questo è un problema che si pone anche in tutte quelle coltivazioni bio che usano questo tipo di pacciamatura. Autore: Ezio Bosso