A fine 2017, il Parco Agricolo Sud Milano ha dato avvio al procedimento di istituzione delle Aree a Parco naturale. Immediate le proteste del mondo agricolo. Il Parco ha quindi stipulato un accordo con la Facoltà Agraria dell’Università di Milano per una ricerca, affidata a Alessandro Toccolini e Guido Sali, per capire: 1) quale influsso potrebbe avere l’istituzione del Parco naturale regionale sulle aziende agricole ricadenti all’interno della perimetrazione in termini di variazione di reddito netto? 2) quale influsso potrebbe avere l’istituzione del Parco naturale regionale sul valore dei terreni agricoli ricadenti in esso? 3) elaborazione di schede normative per la costruzione del piano di Parco naturale. Risultato delle studio? Si rischia di perdere quasi 10mila ettari di terreno fertile, con un impatto fortemente penalizzante sulle aziende agricole interessate da questa scelta. Risultato: agricoltori ancora più incazzati. Coldiretti ha già chiesto la testa della presidente. Non è meno dura Confagricoltura. Ecco cosa è emerso al convegno di stamane, cui erano stati invitati anche i vertici del Parco, che hanno preferito non partecipare.
Rolfi si barcamena
L’Assessore Regionale all’Agricoltura, Alimentazione e Sistemi Verdi Fabio Rolfi oggi al convegno sul Parco promosso a Milano ha ribadito che la gestione è un tassello fondamentale per un Parco di queste dimensioni (circa 47.000 ettari) e ha sottolineato la necessità di dare maggiore responsabilità ai 61 comuni, anche quelli periferici, devono essere più protagonisti. «Purtroppo per ora non vedo grandi chances – ha aggiunto l’Assessore – Ci tengo a sottolineare che il parco agricolo non è un giardino urbano: la previsione di area a vocazione naturalistica è legittima, ma deve avvenire senza interferire con l’attività agricola. Questo è il nostro approccio che sarà utilizzato per valutare eventuali proposte. È necessario incentivare l’attività degli agricoltori nei parchi magari con misure del futuro psr che la vadano a premiare ulteriormente, anche per la forte valenza ambientale. Vogliamo aprire una discussione sul futuro modello di governance: il parco attualmente ha una gestione speciale incentrata in maniera pesante sul ruolo della Città metropolitana anche in termini economici. Ben venga la richiesta di maggior protagonismo da parte degli enti locali situati all’interno del parco, che prevederà anche un diverso impegno finanziario; quindi, la discussione è necessaria, non dimenticando il tema del grande parco dell’area metropolitana, che la Legge Regionale 28/2016 accarezza e sul quale siamo disponibili ad aprire una riflessione».
La Lega picchia duro
Se Rolfi mantiene un aplomb istituzionale, la Lega, che è il suo partito, è più diretta. «La trasformazione – ha affermato Silvia Scurati, Consigliere Regionale per la Lega– di vasti ambiti del Parco Agricolo Sud Milano da Parco Agricolo in Parco Naturale porterebbe con sé inevitabilmente la penalizzazione di tante attività agricole e agrituristiche già presenti, oltre a numerosi soggetti come ad esempio i cacciatori. Le Associazioni di Categoria, le aziende e parecchie Amministrazioni Comunali hanno già dichiarato la propria contrarietà a questo progetto, che stravolgerebbe l’attuale natura e funzione del Parco Agricolo Sud Milano, che deve rimanere ancorato alla sua vocazione agricola. Il parco ha già delle aree naturalistiche al suo interno come il Fontanile Nuovo di Bareggio, il lago Mulino di Cusico, il lago Boscaccio di Gaggiano, l’Oasi Naturalistica di Lacchiarella, etc..».
Coldiretti per la rottura
«Tre anni di percorso e più cicli di incontri dai quali è emersa una netta contrarietà al progetto da parte nostra. A metà marzo il presidente ci dice: faccio tesoro di quello che é emerso ma, vado avanti. Serve, e al più presto, una governance diversa – Così Alessandro Rota, presidente della Coldiretti di Milano, Lodi e Monza Brianza, si era espresso nuovamente in merito alla situazione del Parco Agricolo Sud Milano – questa decisione ha rotto gli schemi, è venuto a mancare l’ascolto di quelle che sono le esigenze del territorio. Lo studio condotto dall’UniMi non ci è sembrato per nulla all’altezza e abbiamo risottolineato le nostre posizioni. È un secco no che mi ha portato a prendere nette distanze dalla governance del Parco. Non occorre burocratizzare aree naturali per far emergere la naturalità del parco. Entrando nel merito: se pensiamo al nuovo Pan, le aree naturali protette vengono paragonate alle aree Natura 2000 e il loro valore si troverebbe diminuito. Andiamo a toccare un patrimonio di tante famiglie di agricoltori che hanno fatto investimenti. Mi aspetto una presa di posizione anche dai principali proprietari terrieri, come gli ospedali. Se dovesse esserci una diminuzione del patrimonio agricolo, ci aspettiamo un dimezzamento dei canoni di affitto. Abbiamo davanti una Milano che corre, è vogliamo essere compartecipi all’innovazione. Ci vuole una sorta di maggioranza agricola nella governance. Al presidente del Parco – aggiunge Alessandro Rota – chiediamo di fare un passo indietro, così come sollecitiamo le dimissioni del consigliere rappresentante degli agricoltori, ormai lontano dagli interessi della categoria. Serve un “nuovo” Parco più vicino alla realtà agricola – conclude il presidente della Coldiretti di Milano, Lodi e Monza Brianza – che sappia rispondere più velocemente alle istanze degli agricoltori e che sia in grado di affrontare con maggiore decisione le sfide dell’attrattività del territorio e della promozione delle nostre eccellenze agroalimentari, senza dimenticare il ruolo fondamentale nella mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici sulla città di Milano e nel coinvolgimento dell’agricoltura multifunzionale in vista dei Giochi olimpici 2026».
Boselli: invertire la rotta
«A questo punto occorre ricordare che stiamo parlando del Parco Agricolo Sud Milano, nel quale l’agricoltura è e deve restare la componente essenziale per continuare a custodire e mantenere il paesaggio, difendendolo dalla cementificazione. Pertanto ribadiamo con forza la nostra contrarietà al progetto di istituzione del ‘parco naturale’ invitando gli amministratori dell’ente pubblico ad utilizzare meglio le risorse finanziarie a disposizione, rinunciando a questo progetto velleitario ed ascoltando di più il mondo agricolo, vero motore del Parco – ha detto Antonio Boselli, Presidente Confagricoltura Milano, Lodi, Monza e Brianza – oggi essere all’interno di un PASM vuol dire vincoli burocratici. La nostra proposta consiste nell’incentivare una maggior spesa per indennizzare gli agricoltori del Parco. Qualcuno ha la vendita diretta o l’agriturismo e riesce a diversificare il proprio reddito. Tuttavia, la maggior parte delle aziende fanno riso per il mercato e il prezzo di vendita é lo stesso, non c’è un plus. Pensando alla prossima Pac, dobbiamo far capire il potere rigeneratrice dell’agricoltura: semplificazione per la produttività. Oggi chi difende il territorio sono le aziende vive. Resto stupefatto che nella governance ci sia un solo rappresentante agricolo: dobbiamo invertire!».
Cacciatori furiosi
Presente all’incontro anche Luca Agnelli, Consigliere Provinciale Federcaccia, Milano, Monza e Brianza che ha ribadito la necessità di una proposta diversa da quella fino ad oggi avanzata: « l’attività venatoria avviene sui territori agricoli, gli agricoltori sono i nostri padroni di casa a cui cerchiamo di restituire anche un servizio. In provincia di Milano sono stati persi circa 7mila ettari di superficie agricola in 10 anni (circa il 10%). Per i cacciatori il Parco é una risorsa ma, ci fa pensare che per molti non sia così. Siamo stati invitati agli incontri non ai tavoli ma a prese d’atto. Nelle aree a più alto pregio naturalistico del Parco già vige il divieto di caccia.. non vogliamo essere fruitori di serie B, la legge ci dice quello che dobbiamo e non dobbiamo fare. In più siamo tra i pochi a pagare attuando miglioramenti territoriali che mettiamo in atto e il ripopolamento di selvaggina. Ho già detto dei metodi, non voglio dire dei criteri ma, lamentiamo una totale mancanza di proposte con l’attività venatoria. Ci siamo chiesti chi dovrebbe fare vigilanza poiché aumentando le aree aumenterebbero le sanzioni: la polizia metropolitana è stata sciolta un anno fa, la vigilanza venatoria volontaria non viene considerata e chi farà il controllo della fanua selvatica non si sa. Oggi i piani di controllo vengono fatti per la tutela delle colture agrarie. Non abbiamo dato un parere di contrarietà ma dobbiamo ridiscuterne poiché la proposta così com’è non va bene». Autore: Martina Fasani