Nessun rinvio per la riforma della PAC, né tantomeno per l’ avvio del “greening”, che della nuova PAC rappresenta forse l’ aspetto più complicato e controverso: al 15 maggio 2015 si partirà con le nuove regole, e sarà importante partire con tutte le “carte in regola”. E’ quanto emerso dal seminario “PAC 2020: le disposizioni applicative nazionali” organizzato a Bergamo il 22 gennaio da Unicaa-Uniagronomi e Federagronomi Lombardia (FODAF), con gli interventi di Gianbattista Merigo e Danilo Pirola di Unicaa, di Claudio Leoni di FODAF, e la relazione centrale del prof.Angelo Frascarelli dell’ Università di Perugia.
A fronte di questi punti fermi continua un faticoso lavoro di “messa a punto” delle modalità applicative nazionali in tema di riforma della Politica Agricola Comune. Dopo l’ emanazione del Documento per le scelte nazionali (varato in extremis il 2 Agosto scorso), del DM di recepimento delle medesime scelte del 18 Novembre 2014, delle due circolari esplicative di Agea ( ACIU 702 del 31 Ottobre e ACIU 812 del 16 Dicembre scorsi), della bozza di DM di “semplificazione” del 12 Gennaio 2015, si attende ora l’uscita del Decreto Attuativo, prevista per il 19 Febbraio prossimo, che dovrebbe mettere la parola fine alla ridda di voci, interpretazioni, smentite e controsmentite che ha caratterizzato gli ultimi mesi.
Tre in sostanza gli aspetti che dovrebbero essere oggetto di chiarimento. Il primo riguarda i casi di trasferimento di terra e titoli (ma sarebbe forse più corretto parlare di diritto all’ assegnazione dei titoli, giacché i “vecchi” titoli PAC si sono estinti con il 31-12-2014 e quelli “nuovi” saranno fissati con la domanda da presentarsi entro il 15 Maggio 2015), che può dar luogo a diverse casistiche (e comunque può avvenire solo se nei contratti si è fatto esplicito richiamo agli artt. 20 o 21 del reg. 639/14 , che traducono “in pratica” quanto disposto dall’ art.24.8 del reg. 1307/13 ). Resta fondamentale che “acquirente” e “cedente” conservino al momento della fissazione dei nuovi titoli la qualifica di agricoltore “attivo”.
E quella dell’ agricoltore “attivo” resta un’ altra delle questioni non sempre chiare. Il DM del 12 Gennaio ha specificato che “qualora il beneficiario non sia iscritto all’INPS come CD o IAP (in questi casi la qualifica di “attivo” è automatica, ndr) e abbia una partita IVA con codici Ateco anche relativi ad attività non agricole, il requisito di agricoltore attivo si dimostri se ricorre una delle seguenti ipotesi:
-avere pagamenti diretti pari almeno al 5% dei ricavi delle attività non agricole;
-avere ricavi agricoli pari almeno ad un terzo dei ricavi complessivi;
-nel caso di società, avere nella ragione/denominazione sociale l’indicazione di “società agricola”.
La terza e forse più spinosa questione riguarda il “greening”. Che è sempre stato, a parere di chi scrive, l’ aspetto più critico e criticabile di tutta la riforma. Perché, non avendo alcuna valenza tecnica sul piano “ambientale”, si limita ad introdurre un discutibile concetto di “sostenibilità” basato sul “produrre meno”, anziché sul “produrre meglio”. L’ impatto del “greening” è stato fortunatamente annacquato rispetto alla proposta iniziale di Dacian Ciolos (che voleva applicarlo a tutte le aziende con più di 3 ettari). L’ esclusione dal suo ambito di applicazione delle aziende con più del 75% della superficie destinata a foraggere o a “colture che richiedono la sommersione per una parte significativa del ciclo colturale” (ovvero il riso), a patto che la restante superficie sia meno di 30 ettari, sembra stia incentivando una “corsa” verso tale requisito. Che per l’ area risicola si tradurrà in un probabile incremento delle superfici investite a riso. E per altre zone (ad esempio quelle a vocazione maidicola) potrebbe dar luogo alla ricerca di “escamotages” per diventare “foraggeri”. Qui la serie di interpretazioni, smentite e controsmentite si fa vorticosa. Basti pensare che la circolare Agea del 31 Ottobre sembrava aver aperto uno spiraglio per chi dichiarava di coltivare un erbaio come coltura principale e il mais come seconda coltura, consentendogli di diventare “greening conforme”. La circolare del 16 Dicembre chiude parzialmente lo stesso spiraglio escludendo questa possibilità quando la coltura del mais diventa “pratica tradizionale”. E per pratica “tradizionale” si intenderebbe la coltura destinata a granella (per cui sembrerebbe che un’ ipotetica azienda che coltiva tutto a loiessa di “primo raccolto” e silomais di “secondo” per destinarli a biodigestore potrebbe essere “greening conforme”, a meno che non giungano nel frattempo “chiarimenti” di segno “negativo”).
D’ altro canto appare comprensibile l’ interesse di molte aziende ad evitare le “forche caudine” rappresentate dalla “messa a riposo” delle EFA (Ecological Focus Areas), con le intuibili conseguenze in termini di incremento dei costi fissi e di riduzione della produttività.
Qui le possibilità sono diverse. Si va da quella più banale (e brutale), consistente nell’ acquisire terreni marginali da destinare a “set-aside ecologico” (con effetti ambientali paradossalmente negativi rispetto alle intenzioni del legislatore comunitario). Si passa per l’ adozione di pratiche “equivalenti” come la gestione dei bordi di campo, il conteggio dei filari, degli alberi isolati e dei fossi aziendali, tutti con i relativi fattori di ponderazione (i cui complessi conteggi vanno valutati caso per caso). Per finire con la semina nelle EFA (che dovranno essere almeno pari al 5% della superficie a seminativo nelle aziende soggette a “greening”) di specie azotofissatrici, in primis la soia (che verosimilmente avrà un sensibile aumento di superficie nel 2015). Nel convegno di Bergamo è stata ancora una volta smentita la voce per cui la soia seminata nelle “aree ecologiche” non potrebbe essere oggetto di interventi fitosanitari (diserbo, ecc.). L’ unica limitazione, ribadita nel “chiarimento” del DM del 12 Gennaio, è costituita dal divieto di coltivare piante azotofissatrici su “una fascia di almeno 10 metri dal ciglio di sponda dei corpi idrici individuati dalle Regioni (gli stessi previsti per le fasce tampone di cui alla condizionalità) e di una fascia di almeno 5 metri dal ciglio di sponda dei restanti corsi d’acqua “, che parrebbe riferito alle zone vulnerabili all’ inquinamento da nitrati (qui il legislatore nazionale è riuscito ad introdurre una novità , quella delle piante “azotofissatrici inquinanti”, su cui il tecnico non può che rimanere perplesso).
Certamente la nuova PAC imporrà un aumento del gravame burocratico per le aziende, ma anche per i centri di assistenza agricola (l’ annuncio della disponibilità on-line della domanda PAC precompilata sembra più un messaggio mediatico che un’ opportunità reale). In particolare la Domanda Unica dovrà essere corredata da un Piano Colturale Aziendale, che dovrà obbligatoriamente contenere l’ indicazione di genere e specie delle colture praticate, la loro data di semina e quella di raccolta prevista (e dovrà essere aggiornato in caso di variazioni “in corso d’ opera”).
Un aggravio burocratico che, unito alla confusione normativa, ha suscitato le critiche di tutti i relatori. Ad uno dei quali, solitamente cauto e misurato, è sfuggita un’ esortazione ad “andare con i trattori e i carri di letame davanti ai palazzi del potere”. Un’ iperbole, certamente, ma che la dice lunga sul disagio ed il malcontento di chi oggi lavora in agricoltura. Autore: Flavio Barozzi, agronomo (foto piccola). (24.01.15)