La Città metropolitana di Milano ha approvato nel mese di maggio un protocollo a proposito delle “Indicazioni per gli interventi di contenimento ed eradicazione della nutria (Myocastor coypus)” per il triennio 2020-2022. La sola area metropolitana di Milano ospita circa 45mila nutrie, a fronte degli oltre 700.000 esemplari in tutta Lombardia, dove la situazione risultava critica già da febbraio 2020, già da prima del lockdown. Stante poi la chiusura delle attività di contenimento ed eradicazione, a causa delle restrizioni volte al contenimento del contagio, la situazione è peggiorata in maniera esponenziale: gruppi di nutrie sono stati sorpresi a sguazzare alla Darsena dei Navigli e i saccheggi dei campi del Nord Italia sono dilagati.
I dubbi di Confagricoltura
Confagricoltura non vede di buon occhio il nuovo piano di contenimento, che arriva dopo più di un anno di attesa e presenta, purtroppo, moltissimi punti critici e soluzioni addirittura peggiorative rispetto al piano precedente, incluse alcune azioni di messa in sicurezza del territorio difficilmente attuabili: a titolo esemplificativo, tra i metodi attraverso i quali conseguire i migliori risultati nel lungo periodo, vengono proposti l’installazione di reti di recinzioni elettrificate, la modifica delle inclinazioni di fossi e pendii e la creazione di fasce di rispetto lungo i corsi d’acqua per il pascolo della nutria. Non figurano, inoltre, nel testo del provvedimento, le centinaia di operatori abilitati di tipo B, autorizzati ad operare per il contenimento mediante trappolaggio.
Coldiretti chiede chiarezza
Per contro, Coldiretti manifesta fiducia nei confronti del nuovo provvedimento, che non è sicuramente perfetto, ma rappresenta un punto di partenza; necessario, tuttavia, fare chiarezza sui risarcimenti, anche a livello nazionale affinché «i danni da nutrie smettano di gravare esclusivamente sulle tasche degli agricoltori» essendo quello delle nutrie un problema che inficia gravemente sia gli agricoltori che i consorzi di bonifica che gli enti locali.
Situazione in Emilia e in Veneto
Anche in Emilia Romagna il problema delle nutrie fa sentire i suoi contraccolpi: dal 1995, al fine di mitigarne l’impatto sulle attività antropiche e con l’intento di limitarne la diffusione, sono stati attuati dalle Amministrazioni provinciali specifici piani di controllo ai sensi dell’art. 19 della legge n. 157/1992 che, come si rileva dai dati relativi ai danni alle produzioni agricole, hanno contribuito a ridurre in maniera rilevante l’impatto della specie sulle colture (425.000 euro nel 2008 – 110.000 nel 2012 – 173.000 nel 2014). Eppure non basta: nel mese di aprile 2020, in pieno lockdown, la situazione nel ferrarese è degenerata, come rilevato dal Consorzio di Bonifica Pianura di Ferrara che mantiene in equilibrio il delicato sistema del bacino idrografico estense e stima una popolazione di 500.000 nutrie, poco meno del doppio dei cittadini dell’intera provincia, in un territorio che per il 44% è sotto il livello del mare. La questione è aperta anche in Veneto, dove il piano regionale di eradicazione delle nutrie è stato prorogato al 31 dicembre 2020 con DDR della Regione Veneto n. 18 del 7 febbraio 2020. Nella Regione si segnalano perdite per danni causati da selvatici per un valore di oltre due milioni di euro e le nutrie costituiscono un problema diffuso in quanto si nutrono di colture quali mais e barbabietole, già compromesse da altre specie aliene.
Il quadro nazionale
Ingenti i danni da attribuirsi alle nutrie: oggi, in Italia, l’impatto della nutria è stimabile in 20 milioni di euro di danni all’anno, tanto che la legge 11 agosto 2014 numero 11 l’ha declassata da specie non nociva a specie nociva come ratti e topi. Le perdite dovute ai danni da nutria quest’anno superano anche il 10-15% su semine e raccolti e le nutrie causano grossi problemi alla sicurezza idrogeologica, scavando voragini negli argini dei canali e nel terreno.
La nutria, o castorino, detta anche castoro d’acqua e ratto di palude, è un mammifero roditore originario del Sudamerica: in Italia è stata importata negli anni ’30, allo scopo di allevamento quale animale da pelliccia, e, successivamente, con il precipitare della domanda di pellicce a partire soprattutto dagli anni ’60, ha colonizzato gli ambienti fluviali periurbani e delle nostre campagne. Ha dunque preso piede, dilagando nelle biocenosi e negli ecosistemi italiani, nutrendosi dei germogli di piante erbacee ed arboree, nonché radendo al suolo i cereali in fase di emergenza con la sua opera di sovrapascolamento, dato che si tratta di un mammifero essenzialmente erbivoro con dieta generalista. L’intensa opera di scavo degli argini provoca crolli ed esondazioni che mettono seriamente a repentaglio la sicurezza idraulica dell’intera pianura: a partire dalle spaccature degli argini, dove le nutrie insediano tane in fitti intrichi di gallerie a contatto con l’acqua, si originano infatti fenomeni di abbassamento delle strade poderali che rendono difficoltoso e pericoloso il transito dei trattori. Ingente l’impatto sulle opere di difesa idrauliche e sui sistemi arginali di competenza degli Enti gestori (Servizi Tecnici di Bacino, Agenzia interregionale per il fiume Po, Consorzi di Bonifica). Infine, di non minore importanza è il pericolo procurato agli automobilisti dalle nutrie che si aggirano indisturbate sulle carreggiate ed attraversano le strade lungo i canali, causando grandi falle nella sicurezza della viabilità automobilistica, anche perché si muovono in condizioni di scarsa visibilità, dato che la loro attività è prevalentemente notturna e crepuscolare.
Gli interventi di prevenzione attuabili e citati, fra gli altri, nel provvedimento della Città Metropolitana di Milano, riguardano il posizionamento di recinzioni interrate per salvaguardare le coltivazioni e la protezione degli argini con reti metalliche ancorate al suolo: operazioni, queste, che, oltre a costituire un blando deterrente per gli animali, comportano ingenti oneri di tipo economico, autorizzativo, progettuale e gestionale. Le tecniche di contenimento oggi in atto sono prevalentemente l’abbattimento e il trappolaggio ad opera di addetti appositamente formati ed autorizzati, ma, nell’area urbana e suburbana di Buccinasco, in provincia di Milano, è attualmente in fase di sperimentazione anche la sterilizzazione chirurgica.
Di non secondaria importanza il fatto che la Nutria è potenziale portatrice di 16 zoonosi di tipo virale, batterico o parassitario e dunque una diffusione incontrollata potrebbe provocare problemi di tipo sanitario. La trasmissione di malattie è tuttavia infrequente, anche perché non esistono casi documentati ed è stata riscontrata solo una bassissima frequenza (10-60%) di positività a Leptospira su alcuni esemplari esaminati. Risulta quindi evidente e necessaria l’attuazione di piani integrati e condivisi secondo un approccio gestionale interdisciplinare. Autore: Milena Zarbà