A sentir parlare Michele Lova, alla scrivania del suo ufficio a Sannazzaro de’ Burgondi, vengono in mente le storie di Vincenzo “Censin” Lancia, partito da un paesino della Valsesia per raggiungere la vetta mondiale delle auto da rally, oppure dei fratelli Maserati, originari di Voghera, a una manciata di chilometri da qui, divenuti poi simboli di ingegno italico nell’arte della meccanica. Solo che nel caso dei quattro fratelli Lova tutto ruotava nell’oro bianco della Lomellina, il riso. Nel “paesone”, oggi di oltre 5.000 abitanti, collocato a cavallo dell’argine del Po, questo cereale non può certo dirsi il protagonista, essendo sorta proprio lì quella raffineria dell’Eni che viene considerata la più grande d’Europa, che raggiunge con le sue enormi cisterne e i camini anche Ferrera Erbognone, a oltre quattro chilometri di distanza. Ma nel secondo Dopoguerra l’agricoltura viveva, soprattutto nel pianeta riso, la corsa alla meccanizzazione e i quattro fratelli Lova, Giuseppe, Angelo, Francesco e Mario, iniziarono proprio in quel momento una fiorente attività di costruzione di macchine per riserie ed essiccatoi. Diventando una delle azione di riferimento, per le quattro province “regine” del riso, Pavia, Milano, Vercelli e Novara. (Segue dopo la foto)
La prima mietitrebbia
«Ma poi arriva la prima mietitrebbia, ad inizio anni ’50 – racconta Michele, figlio di Giuseppe Lova –: era una Mc Cormick, americana, una macchina essenziale, che insaccava il cereale, creata per il frumento. Mio padre rimase colpito da questo attrezzo che si inseriva in un passaggio determinante della coltivazione, la raccolta, un passaggio difficile, lungo, per di più in una stagione di fine autunno in cui le condizioni meteorologiche potevano rendere tutto ancora più complicato». I Lova sono gente abituata a battere il ferro e a cercare soluzioni. La Mc Cormick viene copiata e migliorata, in una versione “Made in Sannazzaro”. Ma è solo l’inizio. I Lova capiscono che il punto debole di queste attrezzature semoventi è il battitore, poco adatto alla paglia del riso, ben diversa da quella del grano. Ed ecco che dal metro iniziale arriva un battitore maggiorato da 1 metro e 40, poi da uno e 80. «La svolta fu nel 1970 – continua Michele Lova – nacque la Dominator, un vero cavallo di battaglia con un metro e ottanta di battitore. In risaia riuscì ad avere una produzione quasi di dieci volte le macchina concorrenti. Il segreto era qual battitore con diametro maggiorato, che arrivò fino a 80 centimetri e poteva mietere riso di qualsiasi altezza, senza problemi di ingolfamento». La Lova in un attimo conquista i risicoltori. Piovono gli ordini e la ditta di Sannazzaro cresce, assume, installa una vera catena di montaggio dove le mietitrebbie vengono assemblate. «Ogni lunedì usciva una macchina finita. Già prenotata e dunque già venduta – ricorda Michele Lova – il che significava circa 40 mietitrebbie l’anno, tenendo conto delle ferie. Oltre alla vendita veniva garantita un’assistenza capillare che veniva effettuata immediatamente in campo, anche dagli stessi titolari. Nessuna attesa nei ricambi perché tutto era prodotto qui, ad esclusione dei motori che erano Fiat. Dunque nessuna azienda agricola è mai rimasta ferma. Il nostro segreto era vendere una mietitrebbia nata e concepita per il riso, l’unica esistente in Italia. Non adattata al riso, ma progettata per il riso». Un altro segreto della Lova è la semplicità: le mietitrebbie sono l’attrezzo agricolo con maggiore usura in assoluto, ma qui ogni intervento meccanico era facilitato dal posizionamento degli organi in movimento, facili da raggiungere. In un attimo si sostituiva una cinghia o un cuscinetto e così il taglio del riso poteva proseguire. (Avviso)
I nuovi mercati
Negli anni ’80 il successo non si ferma. La Lova resta all’avanguardia con la 2001 SR, destinata a rimanere come la più performante creatura dell’azienda meccanica di Sannazzaro. Ma poi negli anni ’90 il mercato cambia e iniziano le difficoltà. «Ai risicoltori – ricorda Michele Lova – venivano offerte mietitrebbie a prezzi stracciati e iniziò a farsi largo l’elettronica. Potrei dire che la Lova rimase vittima dell’elettronica, perché la nostra azienda non era nelle condizioni di seguire questa tendenza. Forse è stata anche discutibile la scelta di fare tutto internamente, fatto sta che 23 anni fa la produzione cessò e la Lova iniziò a riconvertire la produzione, con macchinari destinati all’edilizia e oggi con macchine per la lavorazione del poliuretano». Insomma la Lova di oggi è cambiata, anche se sopravvive un’attivissima linea di produzione di ricambi per le decine di mietitrebbie con il marchio lomellino che ancora lavorano a pieno ritmo nelle aziende risicole. «Oggi le mietitrebbie sono astronavi – termina l’imprenditore – il loro livello tecnologico è eccessivo. La manutenzione complessa. Aspetti non giustificati da macchine che lavorano poco più di un mese l’anno e che oggi costano davvero una fortuna, parecchie centinaia di migliaia di euro. Attrezzature sempre più costose e numerose e sempre meno lavoro. Ci sono aziende che hanno un numero di trattori pari a cinque volte il numero degli addetti. Ma il lavoro, a mio parere, dovrebbe essere uno dei prodotti principali di ogni tipo di attività imprenditoriale». In Lomellina c’è chi sogna che un giorno il nome Lova torni a fare bella mostra di sé su una mietitrebbiatrice efficiente, semplice, affidabile come furono quelle nate nell’officina di Sannazzaro. Ecco, non sarà così. Perché, per dirla come Michele Lova, «i giovani della famiglia hanno scelto altre strade». Così come la risicoltura. Quanto meno, prima di una certa pandemia. Autore: Giovanni Rossi