Spettabile Risoitaliano.eu, l’ articolo “Infuria la battaglia sul bio” impone alcune puntualizzazioni e riflessioni. Le sottopongo ai lettori di “Riso Italiano” anche a nome degli altri firmatari e sottoscrittori (ben più illustri e qualificati di chi scrive) del documento di analisi critica del DdL sull’agricoltura biologica attualmente in discussione in Parlamento: si tratta ormai di circa 400 tra docenti universitari, agronomi, economisti, tecnici, imprenditori agricoli ed agroalimentari (tra cui anche produttori biologici), medici, tossicologi, genetisti, ricercatori ecc.. Tra di essi vi sono alcuni collaboratori tecnici di “Riso Italiano” e numerose figure di riferimento del mondo risicolo. Contestualmente segnalo che il documento è consultabile e sottoscrivibile al link https://agrariansciences.blogspot.com/2019/01/testo-per-gli-onorevoli-membri-del.html .
A favore e non contro
In primo luogo occorre ribadire che il documento e la mobilitazione del mondo scientifico, tecnico e produttivo che vi è sottesa (tanto più straordinaria se si pensa che è basata sulla più assoluta spontaneità e sul totale volontariato) sono a favore del progresso dell’agricoltura sostenibile e non contro qualcuno o qualcosa. Esprimono posizioni dalla parte della libertà e non del divieto, del progresso e non della “decrescita”, della ragione e non del pregiudizio, dello studio e non dell’irresponsabilità.
Ma basta propaganda
Se proprio si vuole individuare un elemento contro qualcosa, la mobilitazione del “gruppo dei 400” è contro la propaganda ingannevole, le mistificazioni, e le speculazioni che temi tanto delicati e complessi generano da parte di operatori senza scrupoli. A partire dal falso “bio” che rappresenta un problema per tutti (a cominciare dai bioagricoltori onesti) e sul quale ogni “omertà” sarebbe negativa.
Testo lacunoso
Per questo oltre a proporre critiche costruttive ad un testo legislativo probabilmente lacunoso e migliorabile, la mobilitazione di tante figure di spicco vorrebbe portare ad un confronto serio e fattivo sull’innovazione, la ricerca ed il progresso dell’agricoltura e non solo. Proposito oggettivamente arduo di questi tempi in cui sembrano prevalere coloro che vorrebbero imporre ad un mondo occidentale in apparentemente inesorabile declino la “Dittatura dell’ignoranza” (perdona l’ ”autocitazione”), come dimostrano una certa “cultura del NO”, o l’affermazione di apodittiche “certezze” e la diffusione di alcune derive pseudoscientifiche.
Serve un metodo diverso
Serve una metodologia diversa, basata sul rigore scientifico, sull’umiltà propositiva del dubbio, su un approccio laico volto alla risoluzione dei problemi dell’agricoltura e della sostenibilità e non solo. A questo scopo potrebbero essere interessanti ricerche e confronti seri ed indipendenti sull’effettiva sostenibilità dei vari metodi colturali e sulla riduzione delle criticità che ognuno di essi presenta (come accade ad ogni attività umana). A partire dall’osservazione del dato quantitativo per cui l’agricoltura biologica occupa circa il 14% della SAU italiana (a prescindere dalle osservazioni sull’effettiva destinazione produttiva di tale superficie), ma consuma il 24,5% dei prodotti fitosanitari impiegati in Italia (dato ottenuto dal confronto incrociato tra una mozione parlamentare presentata dal PD alla Camera dei Deputati ed il “Bioreport 2017-18” edito da CREA, da cui risulta un impiego complessivo di 125mila tonnnelate di fitosanitari, di cui oltre 30.500 usate nel “bio”). Nel caso del riso, ad esempio, sarebbe utile una azione di confronto per verificare e magari quantificare la reale sostenibilità dei vari metodi colturali, che tenga conto anche di possibili impatti ambientali ad oggi forse non considerati (quali quelli relativi alle emissioni GHG, piuttosto che al rischio di contaminazione di corpi idrici con “inquinanti” di origine biologica, quali potrebbero essere le sostanze che si sviluppano dalle fermentazioni e putrefazioni tipiche delle pratiche di “pacciamatura verde”, che non a caso vengono chiamate in gergo agricolo “tecnica del puzzone”, ecc.).
Sullo sfondo c’è la Pac
Bisognerebbe anche sgombrare il campo dai sospetti generati dalla coincidenza temporale di una campagna propagandistica apoditticamente “pro bio” con l’avvio della discussione sui criteri di attribuzione dei contributi finanziari della Politica Agricola Comunitaria. Se consideriamo quanto diceva Agatha Christie su coincidenze, indizi e prove, e quanto diceva Marx (di questa citazione sono debitore al prof. Francesco Salamini) circa il fatto che dietro grandi scontri si nascondano interessi economici più o meno confessabili, non si può escludere che il “giro del fumo” generato da certe azioni propagandistiche sia finalizzato ad attribuire al “bio” la maggior parte (se non la totalità) della “torta” dei finanziamenti comunitari previsti dalla PAC post 2020. Come farebbe pensare la frase ricorrente e modale per cui “…l’agricoltura biologica è l’unica sostenibile in Europa” ripetuta ad ogni piè sospinto da alcuni “ambientalisti” forse più interessati ad un “reddito di cittadinanza in salsa verde” (secondo il citato “Bioreport 2017-18” i contributi pubblici incidono per il 45% sul reddito netto delle aziende “bio”, contro il 30% delle aziende “convenzionali”) che all’effettivo progresso dell’agricoltura e del sistema agroalimentare in termini di sostenibilità e di sicurezza.
Il futuro comune
La sostenibilità ambientale ed economica della produzione agricola, la salubrità e la sicurezza alimentare, ma più in generale la tutela delle risorse per le generazioni future dovrebbero essere obiettivi comuni ad ogni persona di buon senso. Per questo tanti operatori, compreso chi scrive (mi concederai questa umile rivendicazione), lavorano quotidianamente e da anni alla ricerca di soluzioni innovative (e non ripiegate su un tempo antico generalmente meno “buono” di quanto vorrebbe far credere qualche furbacchione). E sono ben consapevoli del detto di Eisenhower per cui “l’agricoltura sembra terribilmente facile se il tuo aratro è una matita e ti trovi a mille miglia da un campo di grano”. Le esperienze che si maturano in tal senso, fatte di insegnamenti appresi, di piccole o grandi soddisfazioni faticosamente raggiunte, di piccoli o grandi errori che in buonafede si possono commettere, vanno integrate con le conoscenze altrui senza settarismi o sterili polemiche. Per questo le reazioni talora scomposte, ed in qualche caso ai limiti dell’insulto e della violenza verbale, che certi “ambientalisti” hanno opposto alle posizioni espresse da una parte così significativa del mondo scientifico, tecnico ed imprenditoriale appaiono tanto sconcertanti quanto manzonianamente “pelose”. Autore: Flavio Barozzi, agronomo