Prendo spunto dalla appassionata lettera, pubblicata il 23 marzo su Riso Italiano e scritta da Michela Martinotti. Ringrazio Michela per il messaggio di fiducia e speranza. Servono queste parole dette, più di tutto, da una giovane donna e mamma. Servono per riportare serenità e unione in un Paese dove anche, e soprattutto, le persone da noi incaricate ad amministrare e coordinare il Paese arringano i già stremati cittadini.
Ma servono anche le osservazioni. In questi giorni di emergenza. Il sottoscritto, come altri colleghi, operiamo per garantire alla filiera gli scambi commerciali, in ambito agroalimentare, al fine di garantire gli approvvigionamenti. E’ innegabile che il diverso modo di operare, soprattutto la chiusura delle Borse Merci, ci permette di recuperare tempo dalle trasferte. Rivedendo documenti e dossier ho riletto con piacere la ricerca svolta dal Dipartimento di Economia e Politica Agraria, Agroalimentare e Ambiente (DEPAAA), Università degli studi di Milano, in collaborazione con le Province di Vercelli, Novara, Biella e Alessandria su “Il mercato del riso e i possibili strumenti di valorizzazione del distretto del riso del Piemonte”. Il gruppo di lavoro presieduto dal prof. Dario Casati e dal prof. Alessandro Banterle stese una prima bozza nel dicembre 2007. Il Distretto del riso del Piemonte venne poi istituito dalla Giunta Regionale Piemontese nel maggio 2013.
Non mi soffermerò sui numeri, sulle previsioni, sulle proposte che, se attuate in tempi ragionevoli, avrebbero potuto dare un’importante impulso alla risicoltura piemontese. Quello che mi colpisce oggi è l’aspetto sociale di quel progetto. In questi giorni di “solitudine” (anch’io utilizzo i social-mente sterili) tutti ci chiediamo se quando sorgerà il “nuovo giorno” respireremo a fondo pronti a prenderci la nostra rivincita o ci incolonneremo verso una qualsiasi forma di normalità.
Queste erano le finalità di chi, nel 2007, ci proponeva una soluzione non solo economica ma anche ambientale, sociale e culturale:
«L’art. 7 della stessa legge precisa che il Piano di distretto deve contenere “l’indicazione delle politiche agricole e rurali rilevanti per il distretto, la tutela e la valorizzazione delle produzioni agricole ed agroindustriali, delle risorse ambientali e territoriali, del paesaggio agrario e delle tradizioni rurali”. Peraltro, all’art.1 la l.r. 26/2003 identifica una serie di finalità di carattere generale che devono essere perseguite dai distretti:
- – “favorire i processi di riorganizzazione interna del distretto, rafforzando il coordinamento e le integrazioni delle relazioni fra le imprese;
- – adeguare le strutture produttive esistenti e le infrastrutture di servizio alle necessità economiche, ambientali e territoriali;
- – migliorare la qualità di conformità dei processi e delle aziende;
- – promuovere la sicurezza degli alimenti;
- – sostenere la proiezione sui mercati nazionali e internazionali delle imprese;
- – valorizzare le produzioni agricole e agroalimentari;
- – migliorare la qualità territoriale, ambientale e paesaggistica dello spazio rurale;
- – contribuire al mantenimento ed alla crescita dell’occupazione».
Come ha scritto Michela. Guardiamo avanti, ad una delle nostre più grandi risorse, la filiera agroalimentare per sostenere la nazione intera. Le potenzialità ci sono, c’erano già nel 2007. Ma proseguiamo con la lettura…
«2.1 Elementi di sintesi per un’analisi di contesto
Il contesto territoriale individuato si presenta come fortemente propizio all’organizzazione del Distretto del riso grazie ad una importante serie di condizioni produttive, sociali ed economiche. L’economia dell’area del distretto di fatto gravità attorno al prodotto chiave della sua agricoltura e cioè al riso.
Nell’area del distretto il “prodotto” riso assume connotati che vanno al di là della funzione produttiva ponendosi in relazione, da un lato, con la tradizione e la cultura, e, dall’altro, con l’ambiente e il territorio.
In sintesi il contesto del Distretto si caratterizza per i seguenti aspetti:
- elevata concentrazione produttiva,
- elevato contributo alla formazione del valore della produzione agricola unito ad una rilevante incidenza sull’occupazione agricola,
- significativo contributo alla formazione del Pil delle province interessate,
- forte integrazione delle attività all’interno della filiera risicola,
- rilevante interconnessione con il sistema locale dei servizi alle attività produttive,
- relazioni organiche e consolidate fra le imprese,
- intensa capacità dell’offerta locale di fornire innovazione tecnologica ed organizzativa alle imprese della filiera, assistenza tecnica ed economica, formazione professionale,
- integrazione con i fenomeni culturali e turistici del territorio,
- rilevante interesse delle istituzioni locali alla realtà distrettuale».
Tutto quello che ci chiede l’Europa del futuro, quella del Green Deal, del futuro sostenibile, noi l’abbiamo sempre avuto. Se dobbiamo fare ammenda possiamo affermare che non siamo stati abbastanza uniti. Il documento infatti recitava anche: «Nell’area del distretto emerge un significativo coordinamento verticale fra gli operatori della filiera, grazie agli scambi commerciali e alla localizzazione territoriale. Inoltre, nell’area si rilevano diverse attività che fanno da “contorno” alla produzione e trasformazione del riso e permettono di completare l’intera filiera a livello territoriale. Fra questi tipi di attività si possono citare i servizi per le imprese agricole e l’intermediazione commerciale».Autore: Alberto Ferraris