Cornunghia, stallatico, sovescio, cenere di legna e molto altro ancora. I concimi organici rappresentano una preziosissima fonte di nutrimento per il terreno destinato all’agricoltura, ma i tempi sono cambiati e così anche le sostanze utilizzate. Sulla cresta dell’onda da ormai parecchi anni ci sono infatti loro: i fanghi di depurazione.
A tutti gli effetti, i fanghi provenienti dai depuratori sono dei rifiuti che, però, se di buona qualità, possono essere utilizzati come ammendanti e fertilizzanti in agricoltura, anche in quella biologica. Quel “però” è dato dal fatto che non tutti i fanghi sono fertilizzanti “buoni” in quanto nascondono inquinanti, trasformandosi così in veri e propri rifiuti tossici.
Facciamo un passo indietro per capirci meglio. A tre mesi dalla tragedia del crollo del Ponte Morandi (avvenuto lo scorso agosto), il “Decreto Genova” – promosso dal Governo per avviare la ricostruzione nel capoluogo ligure – è stato approvato e convertito in legge. Tra i punti focali di tale Decreto emerge l’articolo 41 del D.L. 28 settembre 2018 n.109, che autorizza lo spargimento in agricoltura dei fanghi provenienti dai depuratori. Il problema non è tanto questo, dal momento che la situazione precedente prevedeva già l’utilizzo dei “rifiuti-fertilizzanti”, ma è che, con tale norma, si sono innalzati i limiti di concentrazione di idrocarburi (e non solo) nei fanghi, passando da 50 mg/kg a 1000 mg/kg. (Ricordiamo che idrocarburi policiclici aromatici, diossine, furani, policlorobifenili e, ovviamente, metalli pesanti, sono tutte sostanze classificate come “cancerogene”).
A seguito di queste nuove disposizioni nazionali, dunque, Regione Lombardia ha pubblicato un Decreto sulla ricognizione dei limiti di concentrazione e sta lavorando sulla riduzione dei fanghi in agricoltura provvedendo a eliminare alcuni codici CER ammessi ad oggi allo spandimento. «È prevista una riduzione della quantità di fanghi tra il 3 e il 10% – spiega la Regione stessa -. L’Assessorato lombardo sta inoltre lavorando alla ricerca di soluzioni alternative allo spandimento».
La delibera – proposta della Giunta regionale – ha come obiettivo la limitazione dell’uso nei campi di queste sostanze provenienti da produzioni chimiche, tessili, cosmetiche, da centrali termiche e da rigenerazione di oli, favorendo, invece, l’utilizzo di concimi naturali a base di sostanza organica. «Ben vengono regolamentazioni e limiti più severi da parte della Regione – afferma il risicoltore Giovanni Daghetta, presidente di Cia Lombardia -. In risicoltura l’apporto di sostanza organica riveste un ruolo fondamentale, soprattutto in quelle aree geografiche dove la monocoltura viene coltivata in terreni per lo più sabbiosi. Utilizzare, quindi, fanghi di depurazione esenti da sostanze ritenute pericolose per la salute, fa stare noi agricoltori più tranquilli. Dobbiamo preservare i nostri campi e il nostro territorio». Coldiretti Lombardia – che approva la decisione presa dalla Regione in merito all’elenco dei fanghi utilizzabili in agricoltura – sostiene che, per tutelare e valorizzare al meglio le eccellenze agricole e i territori italiani, serve un’attenta gestione di filiera. «In un’ottica di economia circolare e di sostenibilità ambientale, per preservare le caratteristiche dei suoli, evitando l’inaridimento e il rischio idrogeologico, è sempre meglio usare il concime naturale che arriva direttamente dalle nostre stalle» chiosa l’associazione degli agricoltori lombardi. «E sui fanghi – conclude – sarebbe strategico mettere in atto un approccio che punti sulla qualità del processo produttivo, garantendo così la tutela dei consumatori, degli agricoltori e delle coltivazioni». Autore: Valentina Andorlini