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LO STRANO CASO DEL PATENTINO FITOSANITARIO

da | 1 Apr 2016 | NEWS

foto FlavioLa Regione Lombardia, con la DGR 4900 del 7 marzo 2016 ha rideterminato alcuni criteri per l’attribuzione dell’autorizzazione all’acquisto ed all’utilizzo dei prodotti fitosanitari, oltre che per l’attribuzione del certificato abilitante come consulente e rivenditore, e per strutturare i relativi corsi di formazione. In specie, con questo atto normativo, la Regione Lombardia sancisce la definitiva scomparsa del vecchio “patentino” cartaceo con fototessera del titolare, che viene sostituito dall’iscrizione nel portale informatico Ge.Fo., gestito dalla DG Istruzione, Formazione e Lavoro, ovvero dall’esibizione del certificato abilitante rilasciato dal soggetto che ha erogato la formazione unito ad un documento d’ identità. Così ha deciso, almeno per ora, la Lombardia. Ma in altre Regioni la situazione è molto variegata.

Il passaggio dal vecchio “patentino” ai nuovi certificati abilitanti sta creando in effetti non poca confusione. Anche perché il vecchio “patentino” era uguale per tutti gli utilizzatori di prodotti fitosanitari classificati tossici, molto tossici e nocivi (secondo i criteri di classificazione e le etichettature DPD che avrebbero dovuto essere sostituite dalla nuova classificazione ed etichettatura CLP dal giugno scorso, ma rimarranno in circolazione “a consumazione” fino al 2017) operanti sul territorio nazionale. Con la nuova normativa, introdotta dal D.l.vo 150/12, dal DM 22/01/14 (ovvero il PAN) e dalle varie norme di recepimento e declinazione su base regionale, la situazione si presenta assai variegata e complessa, tanto da diventare per più di un operatore un mezzo rompicapo.

Un punto fermo è rappresentato dalla circolare DGISAN044451 del 26 novembre scorso. Un atto amministrativo scritto con un linguaggio particolarmente “ostico”, pieno di rimandi ad altri dispositivi di legge, tanto da richiedere  diverse ore per decifrarlo e consentire a “Riso Italiano” di darne  l’ interpretazione che in seguito è stata ritenuta da tutti generalmente corretta. Ovvero che il “patentino” è obbligatorio per tutti gli utilizzatori professionali (non solo per l’ uso ma anche per l’ acquisto) di tutti i prodotti fitosanitari, indipendentemente dalla tossicità (compresi quindi bagnanti, coadiuvanti, antischiuma , ma anche prodotti per agricoltura “biologica”). Viceversa per gli utilizzatori non professionali il “patentino” è obbligatorio solo in caso di acquisto ed uso di prodotti classificati tossici, molto tossici e nocivi (Il MinSalute in questo caso utilizza la vecchia denominazione DPD che dovrebbe non essere più in uso), mentre per i prodotti “garden” permane la libera vendita (si tratta di prodotti di pericolosità ridotta ma non nulla, che potrebbero teoricamente essere acquistati senza formalità da minorenni, psicopatici, aspiranti terroristi “fai da te”, ecc.). Un’ interpretazione curiosa del principio dell’ uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge sancito dalla Costituzione che aveva ispirato il titolo http://www.risoitaliano.eu/patentino-fitosanitario-spuntano-le-discriminazioni/ .

I presupposti sono quindi che: 1)  il patentino è obbligatorio per tutti gli utilizzatori professionali (ma forse non proprio per tutti, come vedremo…); 2) tutti coloro che ne erano sprovvisti al 26 novembre 2015 devono munirsene  frequentando un corso (da cui è tuttavia esentato chi sia in possesso di diploma o laurea in materie agrarie, forestali, veterinarie, biologiche, naturalistiche, ambientali, mediche e farmaceutiche) e sostenendo un esame abilitante (obbligatorio per tutti, indipendentemente dal titolo di studio); 3) chi aveva il patentino e vuole rinnovarlo deve seguire un corso di aggiornamento secondo modalità variabili a seconda delle Regioni.

I corsi per il rilascio ex novo dell’ abilitazione durano in genere 20 ore e sono organizzati da soggetti diversi a seconda delle Regioni (anche l’ autorità competente al rilascio varia a seconda delle Regioni). Quelli per il rinnovo di abilitazioni in essere durano in genere 12 ore e non richiedono esame. Ai corsi per utilizzatore dovrebbero poter accedere tutti i cittadini maggiorenni, indipendentemente dal titolo di studio e dall’ attività svolta. Anche se non mancano situazioni strane, come quella di un bravissimo collega ed amico, collaboratore di una importante rubrica tecnica  su “Riso Italiano”, che si è visto inizialmente negare l’accesso ai corsi dall’amministrazione territorialmente competente (in Piemonte) in quanto non titolare né impiegato in una azienda agricola. Da notare che sempre la Regione Piemonte (in cui la situazione relativa ai rinnovi viene definita perlomeno precaria da fonti vicine a Confagricolura) con la Determinazione 715/15 ha deliberato che i patentini in scadenza dal 1.1.2014 al 31.12.2015 “…hanno validità fino al 30.6.2016” e che “tutti i certificati di abilitazione in scadenza dal 1.1.2016 al 31.12.2016 hanno validità fino a sei mesi oltre la scadenza”.

A complicare il quadro intervengono poi situazioni e casistiche particolari alquanto curiose. Ad esempio alcune Regioni, come l’Emilia Romagna, riconoscono i corsi a distanza in “e-learning”, altre (come la Lombardia) non ammettono questo tipo di formazione. Un’ altra vexata qaestio è quella relativa alle aziende che appaltano le operazioni colturali e la difesa fitosanitaria a contoterzisti (che sono molto più numerose di quanto non si creda, specie in alcune zone e per alcune tipologie colturali) in cui sovente il titolare non ha mai avuto il patentino. Per queste fattispecie il Piemonte pubblica sul proprio sito una “scheda trattamento contoterzisti” in cui viene richiesta l’indicazione del patentino di chi effettua il trattamento (il contoterzista), ma non del committente. Invece la Regione Emilia Romagna, con una Circolare del 14 luglio 2015 ha dettagliato puntualmente i casi in cui l’ acquisto e l’ utilizzo dei prodotti fitosanitari può essere delegato al contoterzista, esentando il titolare dell’ azienda agricola dall’ obbligo di patentino, e persino i casi di “scambi di manodopera e servizi”  tra piccoli imprenditori agricoli(sanciti dall’ art. 2139 CC) nell’ effettuazione di trattamenti fitosanitari. Una visione curiosamente “liberale” per una Regione ritenuta, nell’opinione generale, più influenzata da Lenin che da Einaudi. Visione sostanzialmente condivisa dalla Regione Veneto, che a sua volta individua linee guida simili, ma che non ha trovato il consenso di altre Regioni, prima tra tutte la contermine e rigorosissima Lombardia. Il che pare creare qualche scompiglio in zone di confine, come rilevava ad una riunione degli agronomi lombardi un collega mantovano, con aziende che si trovano divise a metà da norme regionali distinte, contrastanti e divergenti.

Sull’ argomento l’assessore lombardo Fava era apparso “possibilista” dichiarando ad una assemblea di agromeccanici che “L’Emilia-Romagna ha fatto una scelta differente da quanto previsto dalla legge nazionale, vedremo quale sara’ la risposta del Ministero. Siamo pronti a recepire la formula migliore per i contoterzisti con una delibera, purche’ non sia contraria alla norma”. Poi, il 18 marzo, è arrivato il “chiarimento” del Mipaaf, riportato in un comunicato stampa dei contoterzisti di Unicai(http://www.contoterzisti.it/leggi_comunicazione.php?id=6573 ).

Il Ministero stabilisce due fattispecie: a) quella in cui il titolare dell’ azienda agricola delega al contoterzista  “l’ intero processo produttivo”; b) quella in cui al contoterzista vengono delegate solo “alcune fasi” del processo. Nella prima fattispecie (ovvero delega dell’ intero processo produttivo, che deve risultare da apposito contratto) il Mipaaf, confermando la sostanziale validità della posizione emiliana, dice che il titolare dell’ azienda può non avere il patentino. Basta quello del contoterzista che, esibendo il proprio certificato di utilizzatore, potrà ritirare i prodotti fitosanitari acquistati dall’ azienda (e fatturati all’ azienda e non al contoterzista). Dovrà poi gestire direttamente tutte le fasi successive stoccando i prodotti presso locali propri, distribuendoli con proprie attrezzature, facendosi carico dello smaltimento dei contenitori vuoti,  e sollevando l’ azienda committente (senza patentino) da tutti i relativi obblighi. Nel secondo caso (delega di alcune fasi del processo produttivo) il contoterzista svolgerà solo le fasi a lui attribuite dal contratto, per cui l’ azienda committente dovrà avere il patentino (par di capire che basta lo stoccaggio in azienda per ricadere in questa casistica). Sarà interessante verificare ora, con le operazioni di difesa fitosanitaria prossime alla partenza (o già avviate, come nel caso di alcuni interventi erbicidi di post su cereali autunno-vernini), come la nuova situazione sarà recepita dalle singole Regioni. E’ auspicabile che, superata una “fase di transizione”, forse più lunga e travagliata di quanto si potesse prevedere, l’impianto normativo trovi un’ applicazione quanto più possibile snella, univoca ed uniforme, che superi le confusioni, le contraddittorietà e le incertezze degli ultimi mesi.

Ma, per chiudere con un (amaro) sorriso sulle labbra, può consolare constatare che lo scompiglio creato dalla “patentineide” fa anche “vittime” illustri. La scrittrice Susanna Tamaro in un articolo -ad un tempo meraviglioso e desolante sulla deriva burocratica “degna di uno Stato totalitario” (il corsivo è della Tamaro)- apparso sul Corriere della Sera del 17 marzo scorso, racconta che “…andata al consorzio agrario per comprare i prodotti per trattare il frutteto, la vigna e l’ uliveto…” del suo agriturismo in Umbria ha scoperto che non poteva più farlo perché “…per comprare il verderame bisogna frequentare un corso che dura tre giorni e costa 200 euro, con relativo esame finale. Le piante però non so se saranno così gentili da aspettare la frequenza del corso e l’ ottenimento del diploma prima di farsi invadere dalle muffe, dai funghi e dagli afidi”. Autore: Flavio Barozzi, dottore agronomo, flavio.barozzi@odaf.mi.it (01.04.2016)

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