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L’ISPRA LAPIDA IL GLIFOSATE (E NON SOLO)

da | 9 Mag 2016 | Non solo riso

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glifosatoAncora una volta l’Ispra getta la croce sull’agricoltura. In base a dati scientifici, si capisce. Ma in singolare coincidenza con la campagna internazionale – sostenuta anche dal Ministro Martina – per la messa al bando del glifosate. Cosa possa avvenire dell’erbicida più famoso e contestato già lo sappiamo, perché l’ultima proposta della Commissione europea limita a nove anni il rinnovo dell’autorizzazione d’uso, com’è emerso dal Comitato di esperti dei 28 Paesi in materia di piante, cibi e mangimi che dovrebbe prendere una decisione, il 18 e 19 maggio a Bruxelles. Sappiamo anche che l’Europarlamento ha approvato una risoluzione che chiede il rinnovo dell’autorizzazione per sette anni e per un uso esclusivamente professionale e sappiamo infine che lo scorso marzo solo Italia, Francia e Olanda hanno espresso chiaramente la loro posizione contraria al rinnovo dell’autorizzazione e che non era stata raggiunta la maggioranza qualificata prevista per raggiungere una decisione. Ora l’Ispra fonda scientificamente la posizione governativa («le sostanze che più spesso hanno determinato il superamento sono: glifosate e il suo metabolita AMPA…» rivela), diffondendo l’edizione 2016 del Rapporto Nazionale Pesticidi nelle Acque (ancora non disponibile sul sito ISPRA). Il rapporto è costruito sulla base dei dati forniti dalle Regioni e dalle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente; la copertura del territorio non è completa in quanto non si dispone di informazioni relative a Molise e Calabria e mancano i dati relativi a cinque Regioni per quanto riguarda le acque sotterranee. Secondo il comunicato diffuso da Ispra, nel biennio 2013-2014 sono stati analizzati 29.220 campioni per un totale di 1.351.718 misure analitiche, con un sensibile aumento rispetto al biennio precedente. Nel 2014, in particolare, le indagini hanno riguardato 3.747 punti di campionamento e 14.718 campioni e sono state cercate complessivamente 365 sostanze (nel 2012 erano 335). Sono state trovate 224 sostanze diverse, un numero sensibilmente più elevato degli anni precedenti (erano 175 nel 2012): a parere dell’istituto, questo dato indica una maggiore efficacia delle indagini condotte. «Gli erbicidi – recita la nota ufficiale – sono ancora le sostanze più rinvenute, soprattutto a causa dell’utilizzo diretto sul suolo, spesso concomitante con i periodi di maggiore piovosità di inizio primavera, che ne determinano un trasporto più rapido nei corpi idrici superficiali e sotterranei. Rispetto al passato, è aumentata notevolmente la presenza di fungicidi e insetticidi, soprattutto perché è aumentato il numero di sostanze cercate e la loro scelta è più mirata agli usi su territorio.

Le acque superficiali “ospitano” pesticidi nel 63,9% dei 1.284 punti di monitoraggio controllati (nel 2012 la percentuale era 56,9); nelle acque sotterranee, sono risultati contaminati il 31,7% dei 2.463 punti (31% nel 2012). Il risultato complessivo indica un’ampia diffusione della contaminazione, maggiore nelle acque di superficie, ma elevata anche in quelle sotterranee, con pesticidi presenti anche nelle falde profonde naturalmente protette da strati geologici poco permeabili.

Nelle acque superficiali, 274 punti di monitoraggio (21,3% del totale) hanno concentrazioni superiori ai limiti di qualità ambientali. Le sostanze che più spesso hanno determinato il superamento sono: glifosate e il suo metabolita AMPA (acido aminometilfosforico), metolaclor, triciclazolo, oxadiazon, terbutilazina e il suo principale metabolita, desetil-terbutilazina. Per quanto riguarda il glifosate e il metabolita AMPA, presenti rispettivamente nel 39,7% e nel 70,9% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali, va chiarito che sono cercati solo in Lombardia e Toscana, dove sono tra i principali responsabili del superamento dei limiti di qualità ambientali.

Nelle acque sotterranee, 170 punti (6,9% del totale) hanno concentrazioni superiori ai limiti di qualità ambientale. Le sostanze più frequentemente rinvenute sopra il limite sono: bentazone, metalaxil, terbutilazina e desetil-terbutilazina, atrazina e atrazina-desetil, oxadixil, imidacloprid, oxadiazon, bromacile, 2,6-diclorobenzammide, metolaclor. Diffusa è la presenza dei neonicotinoidi sia nelle acque superficiali, sia in quelle sotterranee. Tra questi, in particolare, l’imidacloprid e il tiametoxan, che hanno anche determinato il superamento dei limiti di qualità. I neonicotinoidi sono la classe di insetticidi più utilizzata a livello mondiale e largamente impiegata anche in Italia. Uno studio condotto a livello mondiale (Task Force sui Pesticidi Sistemici – 2015) evidenzia come l’uso di queste sostanze sia uno dei principali responsabili della perdita di biodiversità e della moria di api.

Nel complesso la contaminazione è più ampia nella pianura padano-veneta dove, come già segnalato in passato, le indagini sono generalmente più efficaci. Nelle cinque regioni dell’area, infatti, si concentra poco meno del 60% dei punti di monitoraggio dell’intera rete nazionale.

In alcune Regioni la contaminazione è molto più diffusa del dato nazionale, arrivando a interessare oltre il 70% dei punti delle acque superficiali in Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, con punte del 90% in Toscana e del 95% in Umbria. Nelle acque sotterranee la diffusione della contaminazione è particolarmente elevata in Lombardia 50% dei punti, in Friuli 68,6%, in Sicilia 76%.

Più che in passato, sono state trovate miscele di sostanze nelle acque, contenenti anche decine di componenti diversi. Ne sono state trovate fino a 48 sostanze in un singolo campione. La tossicità di una miscela è sempre più alta di quella dei singoli componenti. Si deve, pertanto, tenere conto che l’uomo e gli altri organismi sono spesso esposti a “cocktail” di sostanze chimiche, di cui a priori non si conosce la composizione. È necessario prendere atto di queste evidenze, confermate a livello mondiale, e del fatto che le metodologie utilizzate in fase di autorizzazione, che valutano le singole sostanze e non tengono conto degli effetti cumulativi, debbono essere analizzate criticamente al fine di migliorare la stima del rischio.

C’è stata una sensibile diminuzione delle vendite di prodotti fitosanitari scesi nel 2014 a circa 130.000 tonnellate, con un calo del 12% rispetto al 2001. Nello stesso periodo si è ridotta del 30,9% la quantità di prodotti più pericolosi (molto tossici e tossici). Indubbiamente c’è un più cauto impiego delle sostanze chimiche in agricoltura, come richiesto dalle norme in materia, che prevedono l’adozione di tecniche di difesa fitosanitaria a minore impatto, in cui il ricorso alle sostanze chimiche va visto come l’ultima risorsa.

L’analisi dei dati di monitoraggio, peraltro, non evidenzia una diminuzione della contaminazione. Nel periodo 2003 – 2014, infatti, la percentuale di punti contaminati nelle acque superficiali è aumentata di circa il 20%, in quelle sotterranee di circa il 10%. Il fenomeno si spiega in parte col fatto che in vaste aree del centro – sud, solo con ritardo, emerge una contaminazione prima non rilevata. La risposta dell’ambiente, inoltre, risente della persistenza delle sostanze e delle dinamiche idrologiche spesso molto lente, specialmente nelle acque sotterranee, che possono determinare un accumulo di inquinanti, e un difficile ripristino delle condizioni naturali». (09.05.2016)

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