Lo scorso 11 Dicembre la Commissione Europea ha pubblicato un nuovo documento programmatico detto Green Deal, a richiamare il New Deal di Roosevelt, che a partire dal 1933 rilanciò l’economia americana dopo la grande crisi del 1929. Questo nuovo piano si rivolge però al cambiamento climatico, con l’intento di provvedere alla “decarbonizzazione” dell’Europa, azzerando le emissioni di gas serra entro il 2050. Il sogno è quello di abbinare l’operazione ad uno sviluppo economico a favore di una industria competitiva e del benessere e della salute dei cittadini. Speriamo che la rievocazione del New Deal porti altrettanta fortuna, ma al momento la decarbonizzazione comporta ingenti costi aggiuntivi. In attesa che gli altri continenti si allineino a queste norme, sono previsti dazi temporanei sui beni che l’Europa importa. Questi verranno modulati in funzione delle emissioni di gas serra che la loro produzione comporta, ottenendo per questo l’approvazione del WTO (organizzazione mondiale del commercio). É più che realistico ipotizzare che gli altri continenti non si allineino a questa politica, lo è un po’ meno pensare che il WTO approvi questo tipo di dazi. Pare che una causa del fallimento della conferenza di Madrid sia proprio il punto di vista espresso dal Brasile: l’Europa, delocalizzando nel Brasile la produzione dei beni agricoli ed industriali dei quali necessita, delocalizza anche l’inquinamento necessario a produrli, quindi deve prendersene le responsabilità morali ed economiche.
In questo Deal non poteva mancare l’agricoltura del futuro, che viene immaginata come una filiera virtuosa “dall’azienda agricola alla forchetta: un sistema di cibo giusto, salutare ed ecologico”, che riecheggia il “buono, pulito e giusto” di Slow Food. Secondo il documento “l’attuale produzione del cibo causa ancora inquinamento di terreno, aria ed acqua, contribuisce alla perdita di biodiversità ed al cambiamento climatico, consuma quantità eccessive di risorse, mentre consente un grande spreco di cibo. Inoltre produce un cibo di bassa qualità, che favorisce la diffusione del cancro”. Un giudizio totalmente negativo che fa pensare ai cittadini europei come moribondi che continuano ad assorbire ed ingurgitare veleni. Con buona pace degli agricoltori europei, che sono stati ufficialmente dichiarati incapaci, e dipendenti dai sussidi, e che hanno anche avuto, durante l’elaborazione del Green Deal, l’impudenza di fare sfilate con i loro trattori. Olandesi, Francesi e Tedeschi (gli Italiani no, sono troppo individualisti) hanno bloccato città ed autostrade, senza peraltro ottenere risonanza se non su alcune testate della stampa agricola, del tutto ignorate a Bruxelles.
Cosa propone il New Deal per ribaltare la situazione di un’agricoltura così screditata? Naturalmente di usare i sussidi PAC, per favorire comportamenti corretti, utilizzando strumenti “come Precision Farming, agricoltura biologica, agroecologia, agroselvicoltura, e più stretti parametri di benessere animale”. Il piano strategico deve rieducare gli agricoltori “affinché riducano l’uso ed il rischio dei pesticidi, fertilizzanti ed antibiotici”. I centri di ricerca devono “elaborare nuovi metodi di protezione delle colture dai parassiti e dalle malattie considerando il ruolo potenziale di nuove tecnologie per rendere sostenibile e sano il cibo”. Le “nuove tecnologie” alluderanno agli sviluppi scientifici della genetica, neanche nominati perché non graditi dall’ideologia naturalista, oppure sarebbero quelle del biologico, biodinamico e permacoltura, riesumate da un passato di carestie? Si legge anche che “gli Ecosistemi provvederanno servizi essenziali quali cibo, aria fresca ed aria pulita, e riparo. Essi mitigano i disastri naturali, parassiti e malattie ed aiutano a regolare il clima” L’idea che la produzione del cibo e la manutenzione del territorio derivino dall’attività degli agricoltori appare obsoleta, quindi platealmente smentita. La Natura provvede a tutto: l’Uomo deve solo raccogliere. Per ottenere questa rivoluzione serviranno ingenti risorse, ovviamente gestite dalla Commissione.
Neanche i consumatori godono dell’apprezzamento del Green Deal: con un cauto giro di parole si ipotizza una rieducazione, vocabolo tristemente rievocativo, dei consumatori: ”La Commissione proporrà azioni per aiutare i consumatori a scegliere diete sane e sostenibili ed a ridurre lo spreco del cibo”. Tra le scelte dietetiche “virtuose” è elencato anche il consumo di insetti.
Non ci rimane che godere, durante le prossime festività, dei cibi tradizionali ricchi di sapori, in attesa di un prossimo futuro che prevede cenoni a base di grilli fritti senza olio di palma, e cavallette gratinate senza grassi, glutine, lattosio, zuccheri aggiunti, e quant’altro. Quando gli estensori dello studio, che evidentemente hanno fondato le loro conoscenze agricole sugli slogan del marketing, riusciranno a capire che i vigneti sono i maggiori consumatori di pesticidi, e che l’alcool è classificato dallo IARC in classe 1 (sicuramente cancerogeno), per allietare i nostri cenoni non potremo neanche brindare con bevande zuccherate, ma solo con l’acqua fresca fornita direttamente dall’Ecosistema. Autore: Giuseppe Sarasso, agronomo