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LE VERE RAGIONI DELLA SEMINA IN ASCIUTTA

da | 25 Giu 2020 | NEWS

È terminato ormai il periodo delle semine, ad eccezione di alcuni rari casi di riso come secondo raccolto, ed il bilancio finale porta all’occhio un dato principale: l’aumento dell’adozione della semina interrata a file, causato da diversi fattori pratici e dalla benevolenza del meteo. La  campagna di  coltivazione 2020, infatti, ha  beneficiato della quasi assenza di precipitazioni primaverili, che ha permesso l’ottimale preparazione dei terreni, anche di quelli più sortumosi e pesanti, e la successiva adozione di questa pratica senza incorrere in problematiche. Scegliere l’asciutta per la propria impostazione aziendale è più che legittimo, tuttavia, l’eccesivo ricorso a questa tecnica, a cui si sta arrivando negli ultimi anni, rischia di portare la risicoltura a degli squilibri ecosistemici, legati alla ricarica della falda sotterranea ad esempio, e alla perdita di un valore storico e paesaggistico, che ha permesso anche di non essere assoggettati al greening nelle ultime programmazioni Pac. È innegabile che la pratica in questione  porti con sé diversi vantaggi agronomici, economici ed organizzativi, per questo non si può biasimare la corretta scelta imprenditoriale degli agricoltori. Sarebbe forse più giusto retribuire il servizio fornito dalla semina in acqua, per consentirle di essere eleggibile al pari dell’asciutta dal punto di vista imprenditoriale.Per rendere ancor più chiare le motivazioni che spingono gli imprenditori agricoli ad affidarsi sempre più alla semina interrata a file, abbiamo chiesto il parere di alcuni giovani risicoltori delle tre principali provincie risicole, che hanno mostrato motivazioni diverse, a conferma delle molteplici conseguenze positive legate a questa tecnica, unite da un filo conduttore di maggior praticità ed efficacia sotto certi aspetti.

Paolo Di Piero, risicoltore di Vinzaglio (NO), lega la sua scelta alla tecnologia genetica della varietà adottata: «Quest’ anno abbiamo seminato circa il 30% della superficie aziendale in asciutta, scegliendo questa pratica solo per le varietà a tecnologia Clearfield, che riteniamo siano coltivabili con risultati migliori in questo modo. Altra discriminante è stata la gestione dell’acqua, avendo scelto la semina interrata in zone in cui gli appezzamenti sono più lontani dal centro aziendale e frazionati, dove l’allagamento nelle prime fasi di crescita sarebbe particolarmente impegnativo. Abbiamo riscontrato, inoltre, una più facile gestione di infestanti acquatiche, come heterantera, cucchiai, ammania e murdannia, che compaiono più tardivamente rispetto alla semina in acqua».

Carlo Vandone, risicoltore di Candia (PV), sottolinea le maggiori problematiche della risicoltura Lomellina: «L’acqua nei nostri territori e generalmente più scarsa ma, anche ipotizzando un’ampia disponibilità, non si può parlare di semplice comodità nella scelta della semina in asciutta. Nella nostra zona (caratterizzata da terreni leggeri e molto drenanti) molti appezzamenti, per mantenere la sommersione necessaria alla semina, richiedono la “pesta”, operazione che, in termini di tempo, manodopera e usura dei macchinari, è insostenibile economicamente allo stato attuale. Questione ancora più rilevante è la mancanza di principi attivi che riescano a controllare efficacemente le malerbe tipiche delle risaie allagate, in seguito alla scomparsa di oxadiazon e flufenacet e con il pretilachlor ogni anno in “autorizzazione d’emergenza”. A ciò si aggiungono tutti i problemi portati da alghe e insetti, comuni a tutti gli areali, che portano la bilancia decisionale a propendere verso l’asciutta più che legittimamente. La semina in acqua, tuttavia, – conclude il consigliere di Anga Pavia – ha un’importante ruolo idrologico ed ambientale nel nostro areale, che andrebbe riconosciuto anche economicamente, per incentivare gli agricoltori a praticarla. Ciò permetterebbe un rimpinguamento preventivo delle falde sotterranee già nelle prime fasi primaverili, permettendo ai fontanili di fornire acqua nei successivi periodi di siccità».

Edoardo Merlo, risicoltore di Palestro (PV), ribadisce alcuni punti già citati dai suoi colleghi ed aggiunge: «Dallo scorso anno la totalità della superficie aziendale è stata impostata sulla semina in asciutta. Questa scelta è stata dettata da una volontà d’adeguamento con i nostri vicini, ormai tutti improntati su questo tipo di semina, in modo da non creare squilibri nelle richieste al consorzio idrico. Questo faticava a concederci l’acqua prima del 15 aprile, creandoci difficoltà nell’attuazione delle false semine, importantissime prima della semina in acqua. Abbiamo notato, inoltre, una maggiore affinità delle varietà Clearfield con questa tecnica, esemplificata in uno spunto migliore alla nascita e una maggiore facilità nel controllo delle infestanti acquatiche, mentre si possono creare alcune problematiche nel controllo delle popolazioni di Echinochloa».

Filippo Franco, risicoltore di Casalgiate (NO), fornisce un punto di vista focalizzato sulla meccanica delle lavorazioni: «Da quest’anno il 50% della Sau aziendale è stato seminato in asciutta. I principali vantaggi che ho riscontrato sono: l’uniformità di semina, la mancanza di perdite, legate a perturbazioni ventose o all’insorgere di alghe, e la possibilità di intervenire nella semina e nelle prime due/tre lavorazioni successive con un trattore gommato, evitando le tare legate alle creazioni di carreggiate». Dimostra come la semina interrata stia raggiungendo anche territori più a nord Paolo Bollo, risicoltore di Caresanablot (VC), che spiega: «Scelgo la semina in asciutta su circa il 70% della Sau da me gestita per molteplici fattori. Questa tecnica mi permette più agilità nell’attuazione di semina, sommersione delle camere e diserbi successivi e mi da più garanzie in termini di omogeneità e controllo delle nascite».

Infine Giacomo Mezza, risicoltore di Sali  Vercellese, fornisce una panoramica delle proprie scelte aziendali ed alcune riflessioni sul ruolo dei risicoltori più monte nel territorio vocato alla risicoltura: «La semina in asciutta riguarda il 25% della nostra azienda ed è legata principalmente a due varietà a ciclo lungo (Mare CL e Provisia), che seminiamo ad inizio aprile. Il Provisia non permette la semina in acqua, dovendo essere germinato precedentemente alla dispersione per potersi sviluppare al meglio in sommersione, mentre con il Mare abbiamo riscontrato dei rallentamenti iniziali negli anni scorsi, forse legati alla presenza di residui dei diserbi di presemina nelle acque in quel periodo. Non adotto questa tecnica nelle varietà tradizionali, poiché preclude la possibilità di effettuare un trattamento efficace in presemina, necessario in queste varietà prive di tecnologie di selezione successiva tra graminacee, avendo come fine aziendale la produzione di semente. Con questa impostazione evito anche eccessivi ritardi nella richiesta d’acqua, che effettuo intorno a metà maggio. Questi ritardi non devono avvenire nei territori risicoli più a monte, come quelli da me gestiti, per non ledere l’equilibrio del nostro ecosistema. In ogni caso non biasimo i miei colleghi che effettuano una scelta agronomica ed economica maggiormente sostenibile e di più agile attuabilità. Anche io l’ho adottata in terreni più difficili, appena spianati ad esempio, anche con varietà coltivabili con semina in acqua, perché era la cosa giusta da fare a livello imprenditoriale». Osservazioni condivisibili che culminano in una proposta interessante da parte di Mezza: «Penso che anche la prossima Pac debba considerare l’inserimento di incentivi all’adozione della semina in acqua, per pareggiare il valore economico delle due tecniche e preservare questa impostazione che rende davvero peculiare il nostro territorio e degno di essere differenziato dagli altri areali agricoli, come è già avvenuto riguardo al greening proprio per questo motivo. Noto anche delle problematiche tecniche nella conciliazione tra nuove tecnologie, ad esempio Provisia, e semina in acqua, ma mi auguro che le varietà che verranno costituite dai ricercatori italiani in futuro portino alla creazione di cultivar adattabili alle nostre tecniche, come già avvenuto con il Clearfield in passato». Autore: Ezio Bosso

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