Le “Buone pratiche per la biodiversità in risaia”, di cui si è parlato venerdì 17 gennaio a Rovasenda, si mettono già in pratica in Italia. Abbiamo illustrato (leggi l’articolo) il contributo dell’azienda Una Garlanda, esposto al convegno vercellese. Ora soffermiamoci sugli interventi di Valentina Vaglia e Stefano Tiraboschi, che in quella sede hanno presentato le tecniche di coltivazione in risicoltura biologica, codificate e schematizzate all’interno del progetto Risobiosystem. Queste sono state individuate attraverso la ricerca partecipata tra accademici dell’UniMi e risicoltori che hanno aderito al progetto.
Le tre tecniche
Le tecniche studiate sono tre, presentate da Tiraboschi: «la prima tecnica, definita “strigliatura”, si basa sull’impiego dello strigliatore, ovvero un erpice estremamente leggero composto da denti elastici che lavorano sui primi 4-5 cm di terreno estirpando le avventizie emerse. Solitamente, dopo due erpicature, si effettua una o due strigliatura in pre-semina e fino a quattro in post-semina. La seconda, definita “falsa semina in acqua”, prevede, prima della semina del riso, due-tre passaggi con mezzi meccanici da lavorazione minima in risaia sommersa come strategia di controllo delle infestanti. La terza, la più promettente, è quella scoperta della famiglia Stocchi, denominata “pacciamatura verde”, si basa sulla predisposizione di una coltura di copertura in successione prima del riso che viene seminata a righe a fine agosto, solitamente consistente in un miscuglio di loiessa (Lolium multiflorum) e leguminose (veccia e trifoglio) o nella semina di loiessa in purezza. La biomassa che se ne sviluppa viene trinciata o allettata a metà maggio, subito dopo la semina del riso. Quest’ultima avviene a spaglio, dopodiché si esegue immediatamente la prima sommersione, che dura circa 5-7 giorni, in base alle temperature che regolano l’intensità dei fenomeni fermentativi a carico della biomassa di cover crop, che sviluppano allelopatie. Dopo la prima sommersione, segue un’asciutta prolungata di circa due settimane, per poi sommergere nuovamente la risaia».
La pianta testimone
Valentina Vaglia ha citato successivamente il massiccio ritrovamento di Marsilea Quadrifolia, pianta acquatica di risaia, che sembra riprodursi più facilmente in regime di coltivazione biologico, migliorando la biodiversità. Altri due risicoltori, Alice Cerutti e Marco Zafferoni, hanno presentato due soluzioni che ricercano la biodiversità o tecniche agricole innovative. La prima ha raccontato la sua esperienza aziendale, maturata negli ultimi 10 anni, in cui ha trasformato 25 ettari di superficie risicola della cascina Oschiena di Crova (VC) in una zona umida permanente, utile alla preservazione della biodiversità. Tutto è stato possibile grazie ai finanziamenti del PSR ed ha avuto come principale obbiettivo la preservazione della Pittima Reale, uccello a rischio, che non stava più nidificando in Italia da tempo.
Il trapianto
Marco Zafferoni, agronomo e responsabile dell’Azienda La Bertolina, uno dei capifila nello studio della tecnica del trapianto in risicoltura, parla delle evoluzioni di questa tecnica dal 2015, anno iniziale degli studi a riguardo, ad oggi: «Si tratta di una tecnica usatissima in Asia, per cui si stanno sviluppando macchine sempre più efficienti. la prime parte, fondamentale, è quella del vivaio, che porta la piantina di riso a 15 giorni di vita, prima di passare al trapianto. In questo modo si può sfruttare una più ampia finestra di tempo per la gestione del terreno, effettuando false semine o coltivando il riso in secondo raccolto. le prime sono fondamentali per l’ottenimento di una buon raccolto biologico, insieme ad una sarchiatura precisa durante la crescita in campo. I costi all’ettaro per le piantine sono circa di 500 €, a cui si aggiunge un investimento iniziale per i macchinari di circa 30.000 €, inderogabile in particolare per la sarchiatrice (4/5mila €), che deve essere utilizzata tempestivamente».
Il seme
Al termine ha parlato Valter Porzio, agronomo e vivaista di Romentino (NO), che ha affrontato il tema della riproduzione da seme di specie autoctone per l’inerbimento tecnico degli argini di risaia, piante che all’apparenza sono semplici infestanti, ma che hanno uno ruolo specifico nell’ecosistema. «Il loro inserimento studiato e calibrato-spiega Porzio- può essere di fondamentale importanza per la preservazione della biodiversità. Il mio lavoro consiste nella creazione di piante trapiantabili, che non si facciano sormontare dalle altre infestanti maggiormente invasive, come i giavoni. Altro argomento di interesse nella mia attività sono le piante acquatiche, in particolare quelle che possono avere un effetto fitodepurativo per le acque, di risaia nel nostro caso. Si tratta di studi sviluppati dagli americani in seguito all’ampio inquinamento scaturito dai test militari, a cui porre rimedio sarebbe stato impossibile senza l’aiuto di questo meccanismo naturale, operato da alcune specie di piante. Il meccanismo non è solo legato all’azione della pianta e al suo assorbimento di composti tossici; l’apparato radicale, posto in un substrato ghiaioso, si riempie di batteri, i quali coadiuvano il lavoro della pianta, trasformando i composti tossici. Le varietà di pianta adatta sono molteplici, Phragmites australis è la più utilizzata». Autore: Ezio Bosso