Abbiamo già descritto i passaggi fondamentali – a partire dai dati sulle rese (leggi l’articolo) – del webinar di presentazione del progetto Risobiosystem, uno dei più controversi e tormentati nella storia della risicoltura italiana. Ora veniamo alle conclusioni di Risobiosystem, che sono racchiuse in 4 interventi.
4 conclusioni sul progetto Risobiosystem
Nel primo Patrizia Borsotto, del Crea, ha parlato degli aspetti del mercato di riso biologico, definendolo un settore dinamico, innovativo e soggetto al mercato, ha analizzato il sistema di certificazione e evidenziato la sostenibilità economica delle aziende monitorate nell’ambito del progetto. Nel secondo Marco Romani, Ente Nazionale Risi, e Stefano Monaco, Crea, hanno presentato le tre tecniche analizzate (semina in acqua e pacciamatura con biomassa vegetale; semina interrata e utilizzo combinato di falsa semina in asciutta ed erpice strigliatore; semina in acqua e utilizzo combinato di falsa semina in acqua ed erpice vasino), illustrandone punti forti e deboli. Queste tecniche sono per certi versi simili a quella analizzata nello studio (in particolare la tecnica che utilizza lo strigliatore per il contenimento delle infestanti) ma vi sono delle importanti differenze (la cover crop non viene interrata ma utilizzata come pacciamatura ad esempio) che potrebbe essere interessante analizzare attraverso la metodologia LCA.
Successivamente si è parlato di 2 studi, il primo riguardo la rotazione e la gestione della fertilità e della fertilizzazione organica, il secondo circa la scelta e valutazione delle varietà e di prodotti specifici per la risicoltura biologica, concludendo che: «La pacciamatura verde e il controllo meccanico delle malerbe applicato alla semina interrata sono attualmente le più adatte per il riso bio italiano. Esse necessitano di una messa a punto aziendale e prevedono una semina tardiva. La rotazione è indispensabile e la soia è una coltura chiave, sia per permettere la gestione delle infestanti sia per mantenere la fertilità del suolo, in un sistema dove il ricorso al concime organico è poco diffuso. Rimane da individuare un concime organico a veloce rilascio di azoto per gli interventi di “emergenza”. Le prove varietali hanno consentito di verificare che in generale le varietà utilizzate in risicoltura biologica hanno buone capacità di adattamento ma è necessario potenziare la ricerca. È stata verificata l’efficacia di alcuni prodotti già disponibili per la lotta al brusone e altri sono in via di sviluppo per la concia delle sementi».
Il terzo intervento è stato di Francesco Vidotto, Università di Torino, circa il tema della contaminazione delle acque in risicoltura, in conclusione del quale il professore ha affermato: «[…]anche in terreni appena convertiti è molto improbabile il ritrovamento nella granella di residui di fitofarmaci. Inoltre, la valutazione di eventuali residui di prodotti fitosanitari nelle acque di camere condotte in biologico è possibile ma complessa, sia per la promiscuità delle acque utilizzate, sia per la veloce degradazione delle molecole di prodotti fitosanitari».
In chiusura Stefano Bocchi, Università di Milano, ha parlato della ricerca partecipata come metodologia applicata nel progetto.
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