Pier Emilio Calliera, risicoltore e scrittore noto ai più come Pec, autore di “Hai visto che luna?” e “Dove il tempo si è fermato” ci regala questi versi sul difficile momento che stiamo vivendo. E’ un regalo poetico di un uomo delle risaie, che apprezziamo tanto e che fissa nei versi le ore in cui la risaia inizia a ricevere l’acqua delle montagne, come ogni anno, come da secoli e secoli…
A chi d’Amore non sa parlare
e i versi gentili non sa comporre
può capitare di trovarsi a guardare
un’acqua di neve
che entra nella terra arsa del piano.
Allora ti ritrovi a guardare lontano
dove il sole tramonta ogni sera
lassù in alto verso la montagna
quella più alta di tutte
dove sono le sorgenti di quell’acqua di neve
dove scendono nel silenzio assoluto
quei fiocchi di neve
oltre le grandi pinete
ogni fiocco è unico e diverso dall’altro.
Ti immagini la discesa allegra
tra le rocce di monte
di quei rivi gentili freschi spumeggianti
scendono di corsa canterellando.
Allora ti ritrovi a guardare
ancora più in alto
in quel cielo azzurro illuminato dal sole
e senti salire dal cuore una preghiera
per gli uomini di terra
che i versi non sanno comporre
ti ritrovi sulle labbra
i versi di un uomo buono
che secoli prima li ha recitati:
«Laudato si o mi Signore
per sora acqua… ”
Poi rivedi un grande affresco
dipinto in una grande cappella di Papi
dove un dito Divino dà la Vita ad un altro umano
“E fu sera e fu mattina: sesto giorno”.
Quando l’acqua di neve
si incontra con la terra del piano
è un’armonia di vita
che genera altre creature.
Ti ritrovi a pensare
chi prima di noi ha guardato lontano
a chi ha scavato nella terra tenace
tra le colline ed il piano
quelle rogge e canali che portano a valle
quell’acqua preziosa
a chi ha passato una vita a scavare
tutto a mano con mani callose
quelle lingue di vita
che dissetano le terre argillose.
Ti ritrovi a pensare a quella guerra vinta
quando venne allagata la grande pianura
per fermare il nemico
il nemico invasore è stato fermato.
“E ‘l Gyulai l’è turnà ndrè
cun la pauta tacà i pè”.
Su di un’anta di legno
del dormitoio di donne
si vede ancora una scritta a matita
“A nà l’Italia 1861”
se l’Italia è nata e si è unita
è anche grazie a quella gente di terra
che ha lottato con le sole armi che aveva
l’acqua e la terra
con l’acqua di neve
e la pioggia gentile
mandata copiosa dal cielo
in quel lontano mese di aprile.
Come un patriarca
un grande ingegnere
di nome Noè, ma non quello dell’arca
ma dei Regi Canali
“Per strategico intendimento”
guidò quella gente orgogliosa
e scrissero insieme
una pagina bella di Storia.
In questa terra allagata
si sente un’eco lontana
di mille e mille donne ancora
piene di vita
che cantano sotto il sole
con i piedi nel fango
e cappelli di paglia.
I loro tumulti
contro soldati a cavallo
per un lavoro più umano
di 8 ore soltanto
non da sole a sole
come da sempre era stato
le prime in Europa
siamo noi la Storia.
Per alcuni la terra non è amata
per altri ancora è maledetta
troppo bassa l’han fatta
ma per un piccolo uomo di terra
è come i versi gentili
di una bella canzone
riferita alla Vita:
«Che tu sia benedetta!».
Ma in questo tempo
c’è un morbo maligno che miete la Vita
è arrivato da un paese lontano
dalla strada della seta
e il bel paese è stato chiuso
la gente in casa è obbligata a restare.
I vasi del male sono stati trovati
e una mano maligna
deve averli aperti
il male disperso
ma al fondo dei vasi
ci resta ancora una cosa buona
l’ultima ad uscire
si disperde ancora
nelle terre del piano
si diffonde su enorme distanza
chi resta dovrebbe essere migliore di prima
ce n’è per tutti ancora: è la speranza.
Sabato 4 aprile 2020
Pec.