Approfitto di una rara mattinata uggiosa, nelle nostre martoriate terre, per condividere alcune riflessioni sull’attuale e sulla futura gestione della sempre più importante risorsa idrica.
SOLO 10% ACQUA SESIA IN PIEMONTE
Come ben sappiamo gli accumuli di neve in montagna sono nettamene inferiori allo scorso anno. Ad oggi prevediamo un ulteriore calo della riserva idrica per l’estate. Le informazioni ricevute dai distretti parlano della disponibilità del 30% della risorsa idrica. La proposta fatta da Est Sesia è quella di dirottare il 20% dell’acqua disponibile verso la Lomellina e destinare solo il 10% ai territori piemontesi. Ovviamente questa comunicazione ha immediatamente mosso gli agricoltori di Novara che hanno fatto una protesta direttamente presso gli uffici di Est Sesia.
DUE MOTIVI PER L’ACQUA IN PIEMONTE: LA RICADUTA
Dobbiamo trovare una motivazione tecnica e non solo politica per cercare di tenere sul nostro territorio un bene così prezioso.Credo che ci si debba concentrare su due fattori che richiedono approfondimenti con un esperto di idraulica e di pedologia così da approfondire le tesi che vado ad esporre.
La prima è semplicemente una questione fisica e logistica visto che gli attingimenti delle acque avvengono sul territorio piemontese e solo successivamente le acque giungono sui terreni della Lomellina. Per una questione di ricaduta ritengo che se vengono allagati i terreni “a monte” conseguentemente anche i terreni “a valle” godono dei benefici della sommersione. Diverso a mio avviso lasciare asciutti i terreni “a monte” portando direttamente la poca risorsa idrica sui terreni “a valle”.
DUE MOTIVI PER L’ACQUA IN PIEMONTE: IL TERRENO
Il secondo aspetto è ancora più importante e facilmente dimostrabile visto che è legato alla natura dei terreni e alla loro conseguente vocazione agricola. La storia ci insegna come la risicoltura sia nata su terreni limo/argillosi e solo successivamente si sia espansa in terreni meno vocati. Vista la particolarità della coltivazione del riso appare ovvio che la sua riuscita ottimale avviene dove i terreni hanno una naturale caratteristica di impermeabilizzazione. Su questi terreni il quantitativo di acqua necessario alla coltivazione del riso è decisamente ridotto vista la scarsa percolazione.
Discorso opposto deve essere fatto per i terreni che invece ricadono nella classificazione di terreni sciolti che hanno caratteristiche tendenti al sabbioso e quindi con capacità di trattenere l’acqua decisamente scarse. Buona parte dei terreni della Lomellina hanno queste caratteristiche tanto da portare negli anni su questi territori all’affermazione di coltivazioni uniche e particolari come la famosa cipolla di Breme oppure gli asparagi di Cilavegna, entrambe coltivazioni che possono trovare la loro crescita ottimale solo su terreni sabbiosi e sciolti.
LA CONVENIENZA E’ NATURALE
La storia quindi ci insegna come parte delle terre lombarde sia stata convertita alla risicoltura solo quando questa è diventata estremamente conveniente e, con l’avvento della tecnica della semina interrata, anche decisamente più veloce de gestire. In pochi decenni abbiamo quindi assistito alla crescita sproporzionata di molte aziende in zone poco vocate che hanno purtroppo dimenticato cosa voglia dire produrre riso in maniera tradizionale, si vedono aziende che non hanno neppure le attrezzature per lavorare in acqua visto che tutte le operazioni anche in risaia vengono fatte ormai “in asciutto”.
Questi comportamenti fino a quando vi erano precipitazioni e nevicate invernali portavano comunque a riduzioni nell’ordine del 20/30% della risorsa idrica a tutti gli agricoltori per due motivi, il primo la crescita esponenziale delle superfici a riso e il secondo i volumi di acqua necessari a sommergere i territori con terreni sciolti appena descritti.
I TERRITORI
Purtroppo lo scorso anno ci ha fatto capire come una serie di errori e di scelte “comode” intraprese nei decenni precedenti abbiano portato oggi alla situazione che stiamo vivendo! Girando i territori ormai desertificati da 24 mesi senza precipitazioni importanti, si percepisce come il settore agricolo stia reagendo al problema. Partendo dal cuneese fino alle porte del torinese si vedono parecchie superfici investite a cereali autunno vernini che probabilmente saranno le colture che meno soffriranno la mancanza di acqua.
L’alessandrino, territorio già vocato alla coltivazione di cereali e altri prodotti, ha molta superficie ad oggi seminata e in discrete condizioni. Il vercellese rimane fedele al riso avendo la maggior parte del suo territorio vocato a questa coltura. Il novarese avendo parte con terreni vocati e parte su terreni più sciolti ha limitato il riso sui terreni meno impermeabili con aumento delle superfici a cereali a paglia abbastanza generalizzate. La Lomellina pare non aver ancora ben compreso che continuare a seminare riso in asciutta come se nulla fosse porterà ad una seconda stagione con migliaia di ettari abbandonati e neppure raccolti!
SERVE STUDIO PEDOLOGICO – IDRAULICO
Alla luce di queste considerazioni e della totale mancanza di collaborazione e coordinazione tra i vari territori ritengo che solo una regia superiore possa cercare delle soluzioni e queste devono obbligatoriamente partire da dati inconfutabili come le Carte del Suolo che ogni regione possiede. Dovremmo avere il coraggio di iniziare a definire quelle che sono le terre vocate al riso partendo da uno studio pedologico e idraulico così da poter garantire alle aziende che non hanno alternative di poter continuare a coltivare riso e contemporaneamente spingere le aziende cha hanno terreni idonei ad ogni tipo di coltivazione di riscoprire le colture fatte dai nostri nonni. Ricordiamoci che anche la Comunità Europea spinge affinché nelle aziende si applichi la rotazione che è la base delle regole comunitarie fino al 2027.
MA I 300 CAVALLI A COSA SERVONO?
Il comparto agricolo e non solo deve organizzare dei tavoli tecnici dove inviare esperti di diversi settori così da studiare delle strategie volte a tutelare le centinaia di imprese che con una seconda annata senza raccolto non riuscirebbero più a far fronte alle spese sempre più elevate visti gli aumenti registrati negli ultimi mesi. (Avviso importante)
Concludo con un’ultima riflessione decisamente importante che va a fotografare un settore che forse non ha ancora ben compreso la gravità del momento. Dal raccolto dello scorso anno ad oggi ho assistito a tante aziende che hanno ulteriormente ingrandito il parco macchine con l’ennesimo trattore da 300 cavalli e con mietitrebbie utilizzate 30 giorni all’anno ma che oggi superano il mezzo milione di euro di costo.
Ho visto veramente pochi investimenti invece su metodi di irrigazione alternativi come rotoloni o impianti a goccia o pivot per la coltivazione di cereali. Stupisce come si possa pensare di investire su macchinari utili alla raccolta quando questa è gravemente pregiudicata dalla carenza idrica, oggi ogni imprenditore deve come prima cosa ridurre i costi e secondariamente “attivare il cervello” per far in modo che la sua attività non rischi la chiusura; gli investimenti devono essere mirati così da poter affrontare il futuro con professionalità e con la consapevolezza che solo cambiamenti drastici possono fronteggiare mutamenti epocali! Autore: Fabio Lanfranchini, Pulsar
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