Torniamo sul tema sollevato dalla pubblicazione dell’articolo https://www.risoitaliano.eu/la-pac-rilancera-lasciutta/, in cui, riportando uno studio pubblicato dall’Accademia dei Gergofili, veniva lamentata una carenza di studi relativi alle emissioni di gas serra dalle nostre risaie. Ci ha contattati Chiara Bertora, ricercatrice presso l’Università di Torino. La quale ci ha proposto tre studi, prodotti dal gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali ed Alimentari dell’Università di Torino e dall’Ente Nazionale Risi, riguardanti le emissioni di GHG (gas serra) derivate dalla produzione di riso, studiate in relazione alla tecnica di semina e alla gestione dell’acqua e dei residui nel ciclo culturale. Dopo il primo studio, pubblicato nel 2016, vi presentiamo il secondo studio, “Sostenibilità agro-ambientale di diverse pratiche di gestione delle acque negli agro-ecosistemi di riso in clima temperato”, pubblicato nel 2016 e redatto da Eleonora Francesca Miniotti, Cristina Lerda, Luisella Celi, Daniel Said-Pullicino (Biogeochimica del suolo, Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari, Università di Torino), Marco Romani, Daniele Tenni (Centro di Ricerca sul Riso, Ente Nazionale Risi), Chiara Bertora, Matteo Peyron, Dario Sacco (Agronomia ambientale, Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari, Università di Torino), Claudio Gandolfi, Gian Battista Bischetti, Arianna Facchi (Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali – Produzione, Paesaggio, Agroenergia, Università degli Studi di Milano).
In questo lavoro viene valutata e quantificata la sostenibilità agro-ambientale complessiva delle tre diverse pratiche di gestione delle acque proposte nel precedente studio. Gli effetti della gestione delle acque sui parametri agronomici, come le rese delle colture, i componenti della resa e il recupero apparente di N, sono stati valutati per quattro varietà di riso (Gladio, Baldo, Selenio e Loto) che rappresentano i principali tipi di chicco italiani. Viene anche valutata l’irrigazione netta, l’efficienza nell’uso dell’acqua, la lisciviazione e il deflusso dei nitrati e le emissioni di gas serra per le diverse pratiche di gestione. La gestione delle risorse idriche ha fortemente influenzato le rese e i componenti di resa qualitativa. L’irrigazione intermittente ha comportato riduzioni significative della resa del 28, 24, 19 e 14% rispettivamente per le quattro varietà. Ciò era correlato a un tasso di accestimento più basso e ad una riduzione dell’assorbimento di N. L’irrigazione intermittente ha ovviamente mostrato una maggiore efficienza nell’uso dell’acqua (irrigazione netta 56%) rispetto a semina in acqua (22%) e in asciutta (26%). Le elevate concentrazioni di nitrati nella soluzione del suolo e la lisciviazione dalla zona delle radici, a causa della nitrificazione in condizioni di terreno areato, hanno rappresentato il più grande vincolo ambientale dei sistemi di coltivazione a semina in asciutta. D’altro canto, le pratiche di gestione delle risorse idriche alternative alle inondazioni continue hanno fortemente contribuito a mitigare le emissioni di gas a effetto serra e ridurre il potenziale di riscaldamento globale di questi sistemi di coltivazione fino al 70-90%.
Va ricordato che l’applicazione di questi risultati su larga scala richiede ulteriori considerazioni. L’applicabilità delle diverse tecniche di gestione dell’acqua può dipendere dalla disponibilità dell’acqua e dalle peculiarità del sistema di irrigazione. Ad esempio, sebbene la semina in asciutta, che prevede la prima sommersione ritardata, sembri rappresentare il miglior compromesso tra produzione e sostenibilità ambientale, il ritardo nella richiesta idrica, per l’inondazione della risaia nella prima metà di giugno, aumenterebbe la concorrenza per l’acqua con l’irrigazione maidicola, portando il fabbisogno idrico a superare la disponibilità a livello di bacino. Nell’irrigazione intermittente, l’elevata efficienza nell’uso dell’acqua osservata potrebbe non applicarsi su scale spaziali più grandi, poiché la conversione massiccia del metodo di irrigazione porterebbe a una diminuzione della ricarica della falda acquifera e quindi un abbassamento dei livelli delle acque sotterranee. Poiché l’efficienza dell’uso dell’acqua dipende dalla profondità delle acque sotterranee, ne consegue che un’ampia conversione delle pratiche di irrigazione su grandi aree potrebbe comportare un risparmio idrico inferiore a quanto inizialmente previsto. D’altra parte, il mantenimento dei sistemi di coltivazione allagati può fornire importanti servizi ecosistemici, come la conservazione degli habitat delle zone umide per una vasta gamma di fauna acquatica e semi-acquatica o di paesaggi tradizionali locali. Autore: Ezio Bosso