La puntuale e dettagliata cronaca dell’interessante convegno organizzato dall’Ente Risi per la presentazione dei dati del progetto Riswagest (https://www.risoitaliano.eu/la-ricetta-dellente-risi-per-la-siccita/) ha suscitato diversi commenti tra i risicoltori.
REAZIONI AL PROGETTO RISWAGEST
In effetti l’illustrazione di risultati del progetto Riswagest ha fatto emergere numerosissimi aspetti interessanti. Aspetti che dimostrano come la gestione dell’acqua in risaia -indipendentemente dalle criticità connesse alla perdurante situazione di carenza della risorsa idrica- vada approcciata in modo flessibile e non “ideologico”. Tuttavia, è necessario integrare le conoscenze allo scopo di ottimizzarne l’efficienza valorizzando al tempo la produzione sia sul piano quantitativo, sia qualitativo.
Al tempo stesso l’elevato livello tecnico-scientifico delle relazioni presentate il 31 gennaio ha fatto emergere la complessità del tema, che coinvolge aspetti idraulici, fisiologici, nutrizionali, malerbologici, ambientali, di cui l’agronomo deve saper fare una sintesi non sempre agevole, che richiede la capacità di scomporre la problematica nelle sue componenti essenziali, dovendo poi ricomporla correttamente in una visione d’insieme.
SEMINA IN ACQUA E SOMMERSIONI ALTERNATE
D’altro canto il progetto Riswagest ha consentito di approfondire e riconfermare evidenze già emerse da altre progettualità (come quelle del progetto “Baby-Rice”, fondamentale per indagare la complessa tematica della dinamica dei metalli pesanti). Al tempo stesso ha fornito una conferma scientifica rispetto a “buone pratiche” e conoscenze empiriche consolidate (ma forse ultimamente dimenticate). Per esempio, degna di attenzione è la tecnica della semina in acqua seguita da una serie di asciutte. Questa pratica serve per migliorare il radicamento della plantula, per migliorare l’esecuzione dei trattamenti fitosanitari, ed in seguito in levata per “l’ossigenazione” delle radici ed il mantenimento di uno “stay-green” più duraturo. E’ una pratica che appartiene alla storia stessa della nostra risicoltura.
SCIENZA O CORSA AL DENARO PUBBLICO?
La complessità degli elementi emersi richiederebbe una analisi molto puntuale ed approfondita, ovvero un approccio ed una capacità di lettura scientifica. Capacità che oggi appaiono purtroppo pratiche desuete, e che spesso vengono poste in secondo piano rispetto ad altre visioni più “materiali” quali quelle legate a contributi, sovvenzioni ed interessi locali dagli orizzonti estremamente ristretti.
SERVE APPROCCIO A MOSAICO
Giova tuttavia sottolineare alcuni aspetti su cui sarebbe opportuna una riflessione. In specie, dalla pregevole relazione della prof. Facchi. Da questo è emerso come un “distretto irriguo” dalle dimensioni relativamente modeste come quello di San Giorgio Lomellina (circa mille ettari) è “zonizzato” in 40 aree omogenee, quindi con una superficie media di 25 ettari circa. Ciò significa che all’interno di una singola azienda agricola possono esistere e convivere situazioni geopedologiche, idrauliche ed agronomiche. Per questo immaginare una “ricetta” unica ed uniforme per la gestione della risorsa idrica è insensato: sarebbe come immaginare di restaurare un mosaico formato da migliaia di tessere…stendendogli sopra una mano di calce!
SOMMERSIONE E ASCIUTTA ALTERNATA: I BENEFICI AGRONOMICI
D’altro canto le altre relazioni, tutte di notevole significato, hanno confermato che la semina in sommersione (che richiede comunque la disponibilità della risorsa idrica necessaria) seguita da una alternanza più o meno energica di asciutte programmate e risommersioni fino alla fase di maturazione cerosa ha numerosi aspetti favorevoli.
Vi sono positive ricadute tanto sugli aspetti quanti-qualitativi della produzione quanto su quelli “ambientali”, legati sia all’efficienza d’uso delle risorse (in particolare WUE e NUE), sia alla riduzione delle emissioni GHG ed alla gestione del rischio metalli pesanti (di cui si potrà parlare a parte). In specie l’applicazione di un simile modello negli areali a monte dei comprensori irrigui potrebbe determinare un circolo virtuoso di ricarica delle falde e un recupero del complesso equilibrio idrico basato su fontanili, colature ed “usi plurimi” oggi in parte compromesso.
SE LE RUOTINE SERVONO ANCORA
Purtroppo al dato teorico andrebbe associata una declinazione pratica, non sempre facile da individuare. Un poco a causa di un approccio “fideistico” di alcuni operatori che sarebbero disposti a tutto piuttosto che tornare ad indossare gli stivali e mettere le “ruotine” al trattore per seminare in sommersione (e non solo nel Pavese e nella “bassa” Lomellina). In parte a causa della scomparsa “ope legis” di sostanze attive indispensabili per proteggere la coltura nelle fasi iniziali del ciclo vegetativo da infestanti i cui semi sono trasportati dall’acqua di sommersione, come le Pontederiacee (e contro le quali non c’è rotazione o avvicendamento colturale che tenga). Molto per l’attuale drammatica scarsità delle risorse idriche e per la non meno preoccupante carenza di una visione “strategica” nella gestione delle medesime.
L’UNIONE FA LA FORZA?
Duole constatare come nel mondo della risicoltura continuino a persistere (e forse addirittura si rafforzino) visioni personalistiche e localistiche, da cui derivano contrapposizioni tra …”polli di Renzo” che finiranno per far male a tutti.
Duole constatare come, in una situazione di forte tensione con l’utenza, il principale consorzio di irrigazione dell’areale risicolo abbia scelto di presentarsi ad un appuntamento importante come il convegno del 31 gennaio non con una chiara linea di condotta ma con un approccio estremamente “low profile”. Autore: Flavio Barozzi, dottore agronomo
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