Nella piana di Sibari (Calabria) il riso riduce la salinità del terreno. Qui, il Consorzio CRE (Corigliano Renewable Energie) ha realizzato impianti fotovoltaici. Dal 2008 la potenza totale ammonta a 9 Megawatt in 20 aziende agricole (risicole ed ortofrutticole). Si tratta di impianti sia con incentivi, sia in grid parity. Una comunità energetica pre green economy, premiata dalla Regione Piemonte al politecnico nel 2007. La comunità ha permesso di abbassare i costi energetici di aziende che hanno una logistica importante. Benito Scazziota, presidente dell’azienda Terzeria di proprietà della diocesi di Cassano allo Jonio, racconta la strategia analizzando il Sostegni ter.
GLI INCENTIVI SONO UN COSTO?
«L’articolo 16 del DL 27 Gennaio 2021 presuppone che gli incentivi sono costi che pesano sulla bolletta è fuorviante. Infatti, al costo corrisponde una riduzione delle spese d’impianto così elevata da non essere più, gli stessi incentivi, necessari per la messa in esercizio di un impianto fotovoltaico. Pertanto, è estremamente penalizzante il prelievo del presunto extraprofitto. Extraprofitto che invece sta in piedi, oggi, senza incentivi pubblici e con notevoli benefici ambientali. L’extraprofitto è solo presunto. Infatti, non si considera il periodo 2020/2021 in cui c’è stata una drastica riduzione del prezzo dell’energia (è arrivata a toccare i 2,5 centesimi a Kwh).
La situazione ha messo in seria difficoltà i produttori. Produttori che, in ogni caso, sono protetti’ dall’incentivo fisso del GSE. Il GSE ha subito anch’esso negli anni passati una riduzione ‘forzata’ con il cd. Decreto Spalmaincentivi. Il maggiore prezzo di vendita di quest’anno, dunque, aiuta i produttori per la programmazione di nuovi investimenti non incentivati per l’ambiente».
FACCIAMO CHIAREZZA
La stima del valore di 1,5 miliardi per alimentare il fondo di cui al comma 4 è basata su una considerazione. Per la maggior parte dei contratti di vendita dell’energia è fissato un prezzo fisso annuo di 147€/mwh. Quali i riscontri? Dove sono i contratti? Inoltre, la norma si presta ad essere elusa. Questo perchè difficilmente il produttore stipulerà un contratto superiore ai 6,1 centesimi fissati con il decreto anche solo per il gusto di non restituire una parte dei profitti (che per lui non sono extra).
Con molta probabilità, dunque, questa norma appare ‘ingiusta’. I produttori hanno investito e hanno sopportato negli anni una riduzione degli incentivi fissi. Nello scorso anno una remunerazione irrisoria del prezzo del kwh prodotto, non raggiungerà nemmeno l’obiettivo prefissato. Se questa norma è ingiusta per gli impianti incentivati, invece, è fondatamente irricevibile per gli impianti che non godono di incentivo. Questo grazie alla riduzione dei costi degli impianti per effetto degli incentivi stessi. La norma va a minare le fondamenta del libero mercato imprenditoriale e crea profondissimo senso di rabbia e sconforto nei confronti di quei produttori di energia che stanno sul mercato con le proprie forze (magari indebitandosi).
IL COSTO DELLE MATERIE PRIME
Si arriva, pertanto, all’inverosimile con gli impianti realizzati da giugno 2021 (frutto di un programma di investimento e iter progettuale di almeno un anno). Gli impianti hanno subito anche l’aumento dei costi medi di installazione pari al 50% dovuto al relativo aumento delle materie prime. Pertanto, la normativa in esame, per come elaborata, rischia di destabilizzare il mercato. Questo comporta la penalizzazione degli operatori. Così facendo si disincentiva la produzione di energia pulita.
La Spagna nei mesi scorsi ha provato a tassare gli utili di alcuni impianti di generazione, ma ha dovuto fare marcia indietro. Il governo spagnolo ha precisato che, gli impianti che producono energia senza incentivi e la vendono con contratti bilaterali a lungo termine, sono esclusi dalla restituzione dei c.d. “ extra profitti”.
LA PROPOSTA SULL’AGRI FOTOVOLTAICO
Il meccanismo decretato pone ai produttori un prezzo medio per la vendita dell’energia non superiore al 10% rispetto al valore di riferimento (61€ / MWh). Ciò non è assolutamente adeguato, né remunerativo, poiché tiene conto anche del prezzo dell’energia elettrica ai minimi storici durante il primo periodo pandemico. D’altra parte ai distributori, che acquistano l’energia non pone alcun limite al prezzo di vendita che si attesterebbe a circa € 0,25 centesimi (valore di mercato). In tale misura il prezzo si ripercuoterebbe su industrie, famiglie, imprese etc. non raggiungendo l’obiettivo sperato.
Ciò premesso si potrebbe mettere un tetto al valore dell’energia venduta quantomeno a €100/MWh (per soddisfare le esigenze dei produttori) e nel contempo obbligare i distributori a vendere l’energia acquistata al valore di acquisto (non oltre il tetto sopraddetto) + il differenziale per il servizio di € 0,02-0,03. Si eviterebbe la creazione del fondo che avrebbe ulteriori costi ed indubbia efficacia. Si raggiungerebbe, invece, l’obiettivo di calmierare i prezzi direttamente sulle bollette di famiglie, imprese, industrie. Una sorta di compensazione diretta tra produttori ed utilizzatori con uno spread di € 0,02-0,03 che per le aziende distributrici dovrebbe andare bene. Gli impianti non incentivati, invece, dovrebbero essere esclusi da questa norma». Autore: Benito Scazziota