L’Accademia dei Georgofili ha dedicato un Convegno, svoltosi il 29 ottobre a Firenze, al tema “Rapporti tra Scienza, Politica e Società in relazione al Progresso Scientifico e Tecnologico”. Il Convegno ha permesso di esaminare il grave problema del distacco tra una società ed un’opinione pubblica agevolmente fuorviate da informazioni false o parziali, specie in tema di scienza e tecnologia applicata all’agricoltura ed all’alimentazione, una politica sempre meno caratterizzata dalla competenza e sempre più focalizzata alla ricerca di un facile consenso basato sulla demagogia, ed un mondo della scienza e della tecnica che fatica a diffondere ed a far accettare le conoscenze anche in presenza di prove oggettive. La prof. Elena Cattaneo, Senatrice a vita, ha concluso con un entusiasmante intervento il convegno caratterizzato dai contributi di Massimo Vincenzini, Presidente dei Georgofili, del genetista Michele Stanca Presidente di UNASA, di Laura Ercoli e Marco Nuti della Scuola S.Anna di Pisa, del botanico Fabio Fornara di UniMI, dell’agricoltore Marco Aurelio Pasti (che ha illustrato il declino quanti-qualitativo della coltura del mais italiano, un tempo leader mondiale ed oggi ai più bassi livelli di produttività e qualità) e del docente di diritto alimentare Ferdinando Albisinni dell’ Università della Tuscia.
La realtà non è di destra o di sinistra
La Cattaneo ha evidenziato la fondamentale centralità del metodo scientifico, rigoroso e “laico” al tempo stesso nella sua socratica ammissione della propria fallibilità e perfettibilità. E’ la scienza, ha ricordato la sen. Cattaneo che ci lega alla realtà: si occupa di ciò che è importante sapere e saper fare, richiede un’ipotesi razionale, poi una rigorosa sperimentazione, ed alla fine fornisce risultati visibili, pubblici, verificabili e ripetibili. Non è di “destra” né di “sinistra”, non è influenzata da speculazioni geopolitiche o razziali, ma solo dall’umile osservazione della realtà e dalla costante ricerca del proprio stesso miglioramento. La sen. Cattaneo ha tuttavia dovuto ammettere l’esistenza di un grave problema legato alla diffusa e pervicace incompetenza scientifica di larga parte della classe politica che ha riscontrato nella sua esperienza parlamentare. Al Convegno, peraltro, avrebbe dovuto partecipare l’on. Susanna Cenni, vicepresidente della Commissione Agricoltura della Camera, la quale ha inviato invece un contributo scritto, che personalmente ho trovato davvero deludente sul piano dell’impostazione e dei contenuti, pieno di aspetti discutibili, contraddittori e debolmente argomentati (cosa intenda l’on. Cenni con la frase «l’inazione politica e l’incapacità di frenare la biodiversità…potrebbe comportare perdite annuali nei servizi ecosistemi pari al 7% della produzione mondiale» -sic!- risulta francamente superiore alle modeste capacità di comprensione di un povero agronomo di campagna).
Duole dover esprimere valutazioni che potrebbero apparire gratuitamente polemiche, ma il testo redatto dall’on. Cenni è apparso a molti accademici ben più qualificati di chi scrive come basato su una visione “ideologica”, priva di valide basi scientifiche, e tesa a demonizzare nei fatti (pur negandolo a parole) la tecnologia applicata all’agricoltura, oltretutto riferendosi ad elementi documentali inficiati da clamorosi e marchiani errori metodologici purtroppo contenuti anche in atti di uffici parlamentari. D’altro canto l’on. Cenni ha ammesso implicitamente nel suo scritto – e di ciò credo le si debba dare atto – di focalizzare la sua attenzione sulle tecniche produttive giudicate apoditticamente “buone” se “biologiche” o “biodinamiche” e “cattive” se caratterizzate dall’impiego dei ritrovati della tecnologia. E non quindi sull’effettiva qualità e salubrità dei prodotti, nel momento in cui -rivendicando il suo ruolo di prima firmataria della mozione per la messa al bando di ricerca e sperimentazione su derivati da ingegneria genetica- afferma testualmente di averlo fatto «in virtù di una personale convinzione, non tanto che i prodotti OGM fanno male o che da li discendano cibi pericolosi, il tema, lo sappiamo tutti, non è questo….».
Un punto d’incontro
Va precisato che su due punti l’opinione dell’on. Cenni appare condivisibile. Il primo è laddove auspica una virtuosa relazione tra scienza, società e politica che sembra dissipare il sospetto di una volontà di asservimento della scienza alla politica che qualche accademico aveva temuto di cogliere nell’impostazione generale del documento. Il secondo si riscontra laddove l’on. Cenni afferma «discutiamo di tutto, ma ci vuole rispetto per ogni posizione». Qui l’animo dell’agronomo di campagna con una formazione da vecchio liberale per un attimo si rincuora. Poi tuttavia verrebbe da chiedere all’ on. Cenni perché, se nella pratica quotidiana l’agricoltore e l’agronomo cercano di attuare, in scienza e coscienza, pratiche sempre più evolute quali la precision farming, l’Integrated Pest Manangement, o il sovescio di leguminose o brassicacee ad effetto allelopatico, sono additati se va bene come retrogradi ed ignoranti, quando non come criminali, assassini, inquinatori, e servi di “multinazionali” assai simili alla mitica araba fenice. Mentre se dovessero dichiararsi biologici o biodinamici passerebbero ipso facto per buoni, intelligenti e moderni, indipendentemente dal fondamento tecnico-scientifico delle pratiche (che nel “biodinamico” è ad esser generosi piuttosto fantasioso), della qualità e salubrità dei prodotti e dalla stessa autenticità o falsità di quello che fanno (che non rappresenta un problema secondario, come dimostrano i ricorrenti scandali sul “falso bio”).
Una guerra di religione
In effetti il clima da “guerra di religione” che sembra scatenarsi su questi temi credo giovi solo a “furbetti” e speculatori vari. Purtroppo la situazione è complessa. Sembra che vasti settori della politica e non solo siano pervasi da una visione marxiana (peraltro non estranea a parte del mondo cattolico) per cui il dato scientifico va interpretato in base ad una soggettiva “essenza spirituale” piuttosto che alla sua concreta manifestazione fenomenica. Cui si aggiunge un certo tipo di impostazione pregiudizialmente “contro” (di cui i vari “No TAV”, “No TAP”, “No Vax”, “No profilassi contro Xylella”, ecc. sono la punta dell’iceberg) che sembra farsi largo in vari strati della società, spesso sostenuta da più o meno abili campagne di mobilitazione che non da elementi effettivamente realistici. Campagne che talvolta hanno (e qui Marx forse per una volta tanto non aveva tutti i torti…) recondite ragioni economiche. Speculazione ed irrazionalità finiscono così per andare a braccetto. L’irrazionalità trova terreno fertile su una sempre più diffusa chemiofobia fondata sull’ignoranza.
Qualche tempo fa il prof. Ferrero scrisse su RisoItaliano un articolo in cui sottolineava un’apparente ovvietà, ricordando che anche l’aria è chimica (è infatti una miscela gassosa di azoto, ossigeno, anidride carbonica, argo ed altri gas nobili, ecc.) e suscitando l’indignata ed un poco scomposta reazione di un lettore, che credeva di individuare in tale evidenza la prova di una scarsa “indipendenza” dell’illustre docente. Senza neppur rendersi conto di essere lui stesso – il lettore, in quanto essere umano, come tutti noi – un accumulo di 70-80 kg di chimica… (in primo luogo acqua, anche se in percentuale molto minore a quella proclamata da un attuale Vicepresidente del Consiglio in una delle sue più memorabili gaffes, eppoi proteine, carboidrati, grassi –di cui l’ac. palmitico, costituente il “famigerato” olio di palma, è il più presente rappresentando il 20-30% circa del totale- quindi vitamine, sali minerali, ormoni e quant’altro ivi compreso l’idrogeno solforato).
La ricerca del “naturale”
Un altro terreno fertile per l’irrazionalità è la ricerca del “naturale”. Cosa del tutto impossibile da trovare dal giorno in cui un nostro lontano progenitore (forse neppur appartenente al genere Homo) battendo due pietre generò il fuoco, facendo dell’uomo la più innaturale tra le specie viventi sul pianeta: l’unica che ricava energia da fonti non metaboliche ma dalla distruzione di risorse. Che, per ragioni di sostenibilità (termine oggi usato spesso a sproposito), vanno rigenerate. E l’agricoltura produttiva è l’unica attività umana in grado di rigenerare ciò che l’uomo distrugge: ovviamente deve farlo con sempre maggiore rapidità ed intensità al crescere della popolazione e dei suoi fabbisogni. La “rivoluzione verde” del secondo dopoguerra, con l’apporto della genetica, della meccanica e non ultimo della chimica in agricoltura, ha permesso di passare da una popolazione mondiale di 2,5 miliardi degli anni’40-’50 agli attuali 7,5 con una popolazione sottonutrita che, se è di poco diminuita in termini assoluti (da 800 a 750-780 milioni di individui), si è ridotta in percentuale dal 30 al 10% circa.
Qui si pone il dilemma di cui la scienza in generale e le scienze agrarie in specie si devono occupare e preoccupare. Il tema è come nutrire un pianeta con una popolazione di 7,5 miliardi di persone (con trend crescente) disponendo di appena 1,5 miliardi di ettari (a trend calante) di terreno coltivabile. Ovvero solo 2000 mq pro capite (circa 3 pertiche milanesi o mezza giornata vercellese, per tradurre in unità di misura locali di semplice comprensione) in cui produrre tutto…. Il rischio di una prossima crisi alimentare (e non solo alimentare, visti gli usi plurimi dei prodotti agricoli) di vaste proporzioni non appare del tutto remoto.
Sarà interessante vedere come saprà reagire alla non improbabile crisi la “vecchia” Europa, che appare mentalmente intorpidita dalla sua apparente opulenza. Mentre invece è sempre più fragile, impoverita dalla “fuga di cervelli” e dalla perdita di competitività, ed in prospettiva sempre meno in grado di pagare i prodotti di importazione con cui qualcuno crede di sostituire quelli di un’agricoltura produttiva che si vorrebbe annientare. Autore: Flavio Barozzi, dottore agronomo, accademico aggregato all’Accademia dei Georgofili