E’ appena stato emanato il decreto ministeriale sulle rotazioni, che modifica il decreto del 18 luglio (scarica il DMRotazioni) e prima di affrontare il tema del riso biologico – stiamo attendendo risposte certe sul ruolo del sovescio – vediamo qual è la situazione delle rotazioni e degli avvicendamenti colturali nel nostro settore, con l’aiuto di alcuni tecnici e risicoltori. Come sappiamo, infatti, rotazioni, avvicendamenti e colture intercalari aumentano la fertilità del terreno oltre che agevolare il controllo delle malerbe e la difesa dai patogeni. Il primo punto da approfondire è la remuneratività. La coltivazione del riso è tra i processi più specializzati e meccanizzati dell’agricoltura italiana. Pertanto, oggi la rotazione resta una proposta spiegata dai testi di agronomia e dagli esperti che solo sporadicamente trova applicazione nell’azienda risicola. Sebbene non mancano le prove sperimentali che hanno dimostrato i numerosi vantaggi della rotazione anche in risicoltura, forse il management fatica a recepire un ulteriore aumento della complessità aziendale a fronte di un’incerta redditività. Tuttavia, le crescenti difficoltà che i risicoltori stanno riscontrando nel controllo delle malerbe e nella difesa dai patogeni potrebbero far diventare più frequente questa pratica. La rotazione aiuta controllo e difesa in quanto non fa “specializzare” le malerbe e i parassiti i quali possono essere combattuti con metodi e molecole diverse. (Conosci Avanza?)
Ragionare sul medio termine
«Purtroppo agronomia ed economia in questo caso non vanno d’accordo – ci spiega Dante Boieri, tecnico di Novara -. Se pensiamo ad avvicendamenti riso – mais o riso – frumento la redditività non è affatto assicurata. Mais e frumento hanno necessità di terreni arieggiati e di conseguenza la coltivazione su ex risaia comporta spesso raccolti quantitativamente e qualitativamente modesti. Gli avvicendamenti e le rotazioni in risicoltura possono essere concepiti come investimento a medio termine al fine di migliorare la gestione aziendale degli anni successivi, soprattutto rispetto alle minori energie spese contro malerbe e patogeni; ma questo è possibile solo se la redditività del riso si mantiene buona. Quale imprenditore investirebbe con redditività scarse o appena accettabili?»
Scelte diverse
«Bisogna precisare – spiega Vincenzo Antonino, tecnico di Carisio (Vercelli) – che l’avvicendamento e la rotazione non sono la stessa cosa. La rotazione è un ciclo costante in cui le stesse colture si alternano sul campo a intervalli di tempo uguali. L’avvicendamento è una successione di colture diverse a intervalli di tempo non uguali. Tra le colture usate per gli avvicendamenti in risicoltura una certa diffusione la sta avendo la soia in quanto è una specie miglioratrice in grado di fissare l’azoto. A rotazione e avvicendamento si affiancano le colture intercalari che nell’ambito della stessa annata agraria succedono alla coltura principale: è il caso degli erbai e dei foraggi che talvolta possono essere impiegati per il sovescio. I benefici sono innegabili da un punto di vista agronomico, ma il dover gestire colture diverse può obbligare il risicoltore a ricorrere al contoterzista complicando la gestione aziendale».
Occhio alla tessitura
Un confronto tra Lombardia e Piemonte arriva dall’esperienza di Piero Actis, ispettore assicurazione grandine e avversità atmosferiche nel Vercellese: «La tessitura del terreno è determinante nella riuscita di una rotazione. I terreni lombardi, mediamente più sciolti, si prestano meglio alla coltivazione di mais o di soia anche dopo riso. In questi terreni più arieggiati le rese di mais e di soia possono raggiungere valori importanti e, infatti, le rotazioni sono più diffuse nel pavese, nel lodigiano e nel milanese. Viceversa, i terreni forti del vercellese e del novarese non consentono la coltivazione di mais dopo riso: al fine di ottenere rese accettabili è preferibile passare da una coltura intermedia come l’orzo. Di recente stiamo osservando nelle Cyperaceae sempre più frequenti fenomeni di resistenze agli erbicidi e questo, dove possibile, potrebbe aumentare il ricorso alle rotazioni».
Veccia portentosa
Il sovescio pare attrarre la simpatia di diversi risicoltori: «La veccia è seminata poco dopo la trebbiatura – ci spiega Claudio Melano, risicoltore novarese – . Prima delle semine dell’anno successivo si pratica il sovescio così da interrare la totalità della biomassa generatesi nel frattempo. Tra ottobre e aprile la veccia può arrivare fino ai 40-50 cm di altezza. Oltre all’apporto di azoto che stimo in circa 30 – 40 unità per ettaro, si ha un importante incremento di sostanza organica. La concimazione è completata dall’aggiunta di calciocianamide durante il sovescio e un ulteriore integrazione di azoto e potassio minerale avviene durante l’accestimento». (Conosci Avanza?)
Il seme sardo non ruota
«La coltivazione del riso da seme richiede una particolare pulizia che viene raggiunta con la mondatura – spiega Carlo Ferrari, risicoltore di Oristano -. In questo senso non sentiamo nessuna necessità di mettere a punto delle rotazioni. Il clima particolarmente arieggiato ci mette al riparo da attacchi funginei, sebbene negli ultimi anni abbiamo notato lievi attacchi di brusone: malattia del tutto assente dall’agroecosistema sardo fino a pochissimo tempo fa. Abbiamo osservato effetti molto positivi per quanto riguarda le colture intercalari da sovescio quali il trifoglio alessandrino che arricchiscono i terreni più poveri». Autore: Andrea Bucci