Quella della pacciamatura del riso è una questione particolarmente dibattuta in ambito risicolo e le tecniche di pacciamatura con teli plastici stanno suscitando interesse, specialmente in funzione del contenimento delle infestanti che rappresenta da sempre il maggiore problema fitoiatrico in risaia.
Lanfranchini: dipende da terreno e varietà
Come ricorderete, abbiamo evidenziato i problemi e gli studi condotti sull’argomento. A distanza di tempo, facciamo il punto con i tecnici, partendo dal novarese Fabio Lanfranchini che, negli anni, ha potuto praticare le diverse soluzioni proposte dal mercato, individuandone pregi e difetti: «In primo luogo, va accuratamente valutata la tipologia di telo pacciamante da usare, in quanto teli spessi, che presentano benefici da una parte, dall’altra non sempre sono facili da gestire a causa dei problemi connessi all’interramento ed alla loro degradazione nel terreno; infatti lo spessore del telo ne determina anche il tempo di decomposizione, a seconda anche dell’areale geografico in cui viene coltivato il riso».
Continua Fabio Lanfranchini: «In alcune zone, infatti, si sviluppano con facilità infestanti molto aggressive, come le Ciperacee che, estremamente vigorose, coriacee ed appuntite, tendono a nascere sotto il telo e a bucarlo per emergere, a differenza di altre infestanti, come i Giavoni, che difficilmente riescono a perforare lo strato, provocandone eventualmente il sollevamento. A questo punto, una volta che il telo è perforato, si ripristinano le condizioni per nascite continue delle infestanti vanificando così gli obiettivi della pacciamatura stessa. È anche vero, d’altro canto, che ad oggi non sono molte leaziende in possesso dei macchinari necessari alla messa a dimora dei teli, quindi per queste operazioni si tende a far ricorso al conto terzi anche considerando che nella maggior parte dei casi la superficie aziendale destinata a questa pratica è di poche decine di ettari. Altro aspetto negativo è l’impossibilità effettiva di mettere a coltura l’intera superficie della risaia, con una diminuzione della superficie seminata e quindi della produzione per ettaro: tra un telo e l’altro, infatti, a causa della meccanizzazione della posa dei teli e del passaggio delle ruote del mezzo, vengono a crearsi delle fasce improduttive di 40 – 50 cm che, oltre ad essere improduttive, si ricoprono di infestanti, data la presenza d’acqua e l’assenza di telo. In alcuni casi, tuttavia, il riso accestisce talmente bene che riesce a coprire anche questi corridoi improduttivi tra un telo e l’altro».
Necessario dunque rivedere anche i piani di concimazione ed individuare, tra le 150 disponibili, le varietà di riso che si adattano meglio a questa tecnica e, nello specifico, a questa tecnica applicata su un determinato tipo di terreno. Molte sono le variabili in gioco: «Quando si fa un conteggio economico per la gestione di una tecnica come questa è necessario considerare i costi colturali della messa a dimora del film ed una diminuzione delle produzioni per ettaro connessa alla riduzione della superficie seminata. Bisogna però anche mettere sull’altro piatto della bilancia il fatto che è possibile risparmiare centinaia di euro all’ettaro di agrofarmaci in quanto l’efficienza del telo pacciamante nelle aree che restano regolarmente coperte è indubbia e il riso può essere efficacemente coltivato senza il ricorso a prodotti di sintesi; in ultimo si deve calcolare il prezzo di vendita del risone che, essendo biologico, spunta prezzi di mercato decisamente più interessanti». Conclude Fabio Lanfranchini: «Da non sottovalutare la tecnica della pacciamatura verde, eseguita con essenze vegetali».
Sarasso: che costi!
Anche l’agronomo vercellese Giuseppe Sarasso mette in luce alcuni aspetti negativi della pacciamatura del riso, connessi soprattutto ai costi elevati: «Rispetto alla semina tradizionale in acqua, la posa del pacciamante arriva a costare un migliaio di euro in più all’ettaro, senza contare la necessaria specializzazione della seminatrice: siccome i teli vanno fissati per evitare che volino via, deve essere dotata di un dispositivo che pratichi uno scavo dove interrarne i bordi e poi rincalzarli da entrambi i lati. In questo modo, però, se la larghezza utile di un telo è di un metro circa, tra un telo e l’altro non vengono coltivati circa 30 o 40 cm». Il controllo delle infestanti si può fare meccanicamente con apposite attrezzature, ma correndo elevati rischi di danneggiare i teli. «A fronte di un risparmio di circa 400 euro/ ha per gli agrofarmaci, nel preventivo di lavoro si deve considerare anche il costo di una parziale monda. In effetti, dai fori praticati nei teli per depositare i semi di riso, emergono anche piante infestanti, le più perniciose perché nascono talmente vicino alla pianta di riso da creare maggior danno rispetto a quelle che nascono nei corridoi improduttivi».
Barozzi: restano molte incognite
«La pacciamatura con telo biodegradabile non è una novità per la nostra agricoltura ed è anzi diffusa», osserva poi il lomellino Flavio Barozzi, «tanto che in diversi casi rappresenta la tecnica standard di controllo delle infestanti e di limitazione dell’evapotraspirazione in molti sistemi colturali (ad esempio nelle colture in ambiente confinato e nelle produzioni di “quarta gamma”). In risaia le sperimentazioni sono iniziate alcuni anni fa con metodi talvolta molto rudimentali. Le criticità erano molte: le difficoltà di messa a dimora dei semi (in qualche caso inizialmente effettuata a mano da uno stuolo di braccianti); l’imperfetto ancoraggio al suolo dei teli (in una nota azienda nei pressi di Mortara che utilizzava questa tecnica un pomeriggio ventoso determinò un paio d’anni fa lo svolazzare di centinaia di metri di telo per le campagne circostanti); la bassa densità di semina del riso, condizionata dalla necessità di lasciare zone non coperte e non seminate in corrispondenza del passaggio dei trattori; le difficoltà ed i costi del controllo delle infestanti che si sviluppano negli spazi non coperti dal telo. Allo stato attuale sembra che si sia ottenuto qualche miglioramento nelle tecniche di posa e semina, ma le incognite permangono. Personalmente non ho esperienze dirette a parte quella di spettatore dell’interessante Progetto SUBRIS recentemente realizzato con il finanziamento della mis. 16.2.01 del PSR Lombardia. Da quanto ho potuto capire la tecnica consente una significativa riduzione delle emissioni di gas climalteranti. Per contro sembrerebbe determinare una riduzione di biodiversità. Infine sul piano dei costi la tecnica apparirebbe al momento non sostenibile sul piano economico».
Boieri: meglio quella verde
Anche il novarese Dante Boieri ribadisce le problematiche legate alla meccanizzazione, ai costi della manodopera necessaria per intervenire negli spazi fra i teli e connesse all’emersione di infestanti nel foro in corrispondenza del seme ed aggiunge: «Per il mais e per le orticole, forse, la tecnica della pacciamatura potrebbe avere una certa logica e per il riso la pacciamatura verde risulta sicuramente molto più interessante ma i problemi chiave sono, nel caso del biologico, il carico di infestanti e la rotazione: se il bilancio è eseguito sull’arco dei 5 anni, 3 dei quali saranno a riso, se si intervenisse con soia o mais senza trattamenti, sicuramente si incorrerebbe in problematiche di micotossine. Se, da un lato, è vero che la pacciamatura consente il controllo delle infestanti e riduce i problemi di evaporazione e traspirazione, si tratta tuttavia di una tecnica che, se si porta sulle grandi estensioni, crea dei grandi problemi», conclude Dante Boieri. Autore: Milena Zarbà