L’ultimo numero di Intersezioni, l’organo di informazione dei dottori agronomi e forestali di Milano, ha pubblicato questa recensione di Flavio Barozzi del volume “La risicoltura e la Grande Guerra” che è in vendita a Vercelli (librerie Mondadori e Giovinacci) e Novara (Lazzarelli e La Talpa). Nelle altre librerie è possibile prenotarlo: l’editore è Interlinea. «E’ uscito ad inizio Dicembre il libro di Giuseppe Sarasso e Paolo Viana dal titolo “La risicoltura e la Grande Guerra”, un interessante saggio storico che consente al lettore di “fare un viaggio” nel particolare mondo del riso di cento anni fa. Con non pochi spunti di riflessione per l’ attualità. Lo scenario della Prima Guerra Mondiale fa da sfondo a vicende economiche, sociali, agronomiche, organizzative, ma soprattutto umane ( a cominciare dal dissanguamento provocato da quella che Papa Benedetto XV chiamò “inutile strage”) sempre complesse e talora contraddittorie. Giuseppe Sarasso, dottore agronomo vercellese, oltre che membro dell’ Accademia dei Georgofili, e Paolo Viana, giornalista che lavora per testate nazionali quali “Avvenire”, ma anche curatore del giornale on-line “Riso Italiano”, delineano con dovizia di dati ma anche con passione un periodo storico difficile ed al tempo stesso decisivo della nostra Storia.
Da “La risicoltura e la Grande Guerra” lo studioso o il semplice appassionato possono trarre interessanti indicazioni su come era il mondo agricolo di cento anni fa. Ovvero su come era il mondo, visto che l’ agricoltura, per quanto arretrata -o forse proprio in quanto arretrata- era l’asse portante della società italiana. Sarasso e Viana forniscono nel libro, scritto con uno stile quasi “montanelliano” che personalmente trovo molto gradevole, moltissime informazioni: dall’ andamento delle produzioni a quello dei prezzi e dei consumi (superiori a quelli odierni, cosa che dovrebbe far riflettere), dai fabbisogni di forza lavoro (umana e …animale) di un agricoltura per molti versi “pre tecnologica”, fino al dettaglio del difficile bilancio familiare di una famiglia bracciantile. Ne esce il ritratto di un’agricoltura e di una società molto meno”environmental friendly” di quanto qualche nostalgico di un “buon tempo andato” forse immagina. Non mancano spunti di storia dell’agronomia e del miglioramento genetico, quale quello della “parabola” del Maratelli, una varietà nata da una mutazione spontanea del Chinese Originario e spentasi per la comparsa di un ceppo mutato della Pyricularia , che ne ha comportato il fatale abbandono a livello produttivo.
Gli Autori forniscono molto “laicamente” anche numerosi elementi di riflessione su un settore che da sempre si basa sulla vocazione all’esportazione (interessantissimo il parallelismo, appena velatamente polemico, con il “chilometro zero” oggi in voga). Ma basato anche su una costante spinta all’ innovazione, di norma incentivata dall’ iniziativa privata (la Stazione Sperimentale di Risicoltura nasce e cresce sulla base dell’ iniziativa dei privati prima di essere “assorbita” nella macchina dello Stato): il binomio innovazione-iniziativa privata appare chiaramente come il filo conduttore di un settore produttivo comunque sempre all’ avanguardia nel panorama agricolo italiano. E questo non solo nella chiave di lettura storica, ma anche come elemento “di prospettiva” per il futuro. Più complessa appare l’interpretazione del ruolo avuto dalla mano pubblica che dalla lettura del libro appare in diverse circostanze miope ed ottusa. Ed in qualche altra attenta e non priva di valori come quando incentiva -in una sorta di PSR ante litteram– l’ avvento della meccanizzazione agricola. Se, come spesso si dice, la Storia è “maestra di vita”, la lettura di “La Risicoltura e la Grande Guerra” può essere fonte di numerose riflessioni e di parallelismi con l’ attualità. Sempre utili ed interessanti, anche se talvolta scomodi». Autore: Flavio Barozzi, dottore agronomo, Coordinatore della CdS Agricoltura, Sviluppo sostenibile e PSR dell’ ODAF di Milano, Vicepresidente della Società Agraria di Lombardia (10.01.2016)