Mentre si discute sulla reale efficacia del decreto che impone anche per il riso di dichiarare in etichetta l’origine della materia prima utilizzata, in Parlamento torna ad affacciarsi l’obbligo di indicare in etichetta la sede e dell’indirizzo dello stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento dei prodotti alimentari. Anche in questo caso siamo in grado di fornirvi lo schema del decreto in discussione (SCARICA IL DOCUMENTO), che ovviamente pone un problema di armonizzazione con il provvedimento sull’etichettatura d’origine, perché le due norme vanno parzialmente a sovrapporsi laddove impongono di dichiarare il luogo di trasformazione e confezionamento. Sul piano giuridico, peraltro, non si tratta di un’assoluta novità, perché quest’obbligo di indicare l’indirizzo dello stabilimento era già presente nella vecchia normativa sull’etichettatura (D.Lgs 109 del 1992) ma era decaduto con il regolamento (CE) n. 1169/2011 e adesso, sulla base di una Legge delega del 12 agosto 2016, si vuole imporlo nuovamente. Cui prodest? Sicuramente, per restare al nostro settore, non avvantaggerà l’industria risiera ma la Grande distribuzione organizzata, ossessionata dall’esigenza di scaricare su altri la responsabilità della qualità di quello che vende anche nel caso in cui, come avviene per la private label, si tratta di riso lavorato e confezionato per conto delle catene distributive sulla base di contratti che ovviamente privilegiano il minor prezzo e non la miglior qualità. La normativa in esame non modifica il profilo civile e penale della questione, ma indica al consumatore contro chi inveire in caso di mal di pancia. Dopo di che ci penserà il giudice a stabilire di chi sia la responsabilità, visto che la legge, come si sa, non è una questione di etichetta.
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