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LA CULLA DEL FASCISMO E’ GREEN

da | 23 Ago 2020 | Non solo riso

Non si sa se la strada verso il paradiso sia lastricata di cipolle rosse, ma di certo percorrendo il lunghissimo viale che si ritaglia come una verdissima galleria tra i tigli secolari e che porta alla Tenuta Rinalda  sembra davvero di vivere in un angolo di paradiso. Forse per questo il giovane esponente di una famiglia dell’alta borghesia milanese, oltre 40 anni fa, ha scelto di trascorrere qui buona parte della sua esistenza, riuscendo a far convivere alla grande la sua “milanesità” con la passione schietta per la campagna. La Rinalda si trova a Breme, una camminata dalla confluenza tra Po e Sesia e a un viale alberato di quasi un chilometro dalla provinciale che collega Breme a Candia, in Lomellina. Una tenuta di grandi dimensioni, dalla storia importante, non solo per essere stata fino al 1875 circa di proprietà della famiglia Agnelli, ma per aver avuto (secondo alcune testimonianze locali) un ruolo non da poco nella nascita dei Fasci Agricoli lomellini, quando il “Ras della Lomellina” Cesare Forni, la individuò negli anni ’20, come suo quartier generale. Prima di entrare in collisione con il fascismo ufficiale.

Dal dopoguerra la tenuta è della famiglia Tagliabue e dal 1978 è Giuseppe Tagliabue ad occuparsene come agricoltore a tutto tondo, dopo la scomparsa del padre, stroncato a soli 52 anni dalla leucemia.  «Non fu facile – ricorda Giuseppe Tagliabue – non solo per l’enorme dolore di quei giorni, ma anche per dover raccogliere a soli 22 anni l’eredità di una persona eccezionale come mio padre. Fu una vera sfida con me stesso e trovai al mio fianco il fattore Enrico Arduino, con cui si instaurò un rapporto di eccezionale collaborazione, destinato a durare 30 anni. Anzi a volte penso di essere stato il figlio maschio che la vita non gli aveva concesso». (segue dopo la foto)

Giuseppe Tagliabue

All’arrivo alla Rinalda Tagliabue era visto come il “giovin signore” più avvezzo al pavé del centro della metropoli meneghina che alla nebbia delle risaie, ma ben presto la cultura imprenditoriale respirata in una famiglia divisa tra Monza e la Liguria, si è fatta strada. «In verità – aggiunge Giuseppe Tagliabue – la premessa era stata la scelta di seguire studi universitari in Agraria. Ero indeciso tra Economia e Commercio ed Agraria e dissi a mio padre che preferivo Agraria. E forse questa è stata anche per lui una chiara scelta di vita». Una scelta facilitata dal fatto che la Lomellina ha collegamenti rapidi non solo con Milano, ma anche con i maggiori centri del Piemonte e con la Liguria. Insomma è “in mezzo a tutto”, come dimostrato dalla presenza in zona di numerosi esponenti dei casati nobiliari milanesi e non solo milanesi. Inutile dire che il giovane Tagliabue, così come l’odierno Tagliabue, non riesce a stare fermo e in ogni modo dimostra uno spiccato spirito di iniziativa, che fino al 1998 si coniuga con la passione per la zootecnia, tanto che alla Rinalda si sviluppa una grande stalla di Frisone.

«Non nascondo – ricorda l’imprenditore – che quando il camion con la mia ultima vacca lasciò la stalla non sono riuscito a trattenere le lacrime. Ma ormai l’allevamento non era più compatibile con l’azienda, secondo un andazzo che ha portato all’estinzione della zootecnia, in termini statistici, in tutta la Lomellina. Negli anni ’90 avevo raddoppiato i capi in allevamento, ma poi ho dovuto chinare il capo davanti all’impossibilità di pareggiare i conti». L’amore per l’allevamento è amore per la natura e alla Rinalda si perseguono scelte finalizzate a tenere integro quel patrimonio di verde e di acqua che sono la peculiarità della zona. I filari di alberi  fanno da sfondo alle risaie e persino l’ultima marcita all’ingresso della tenuta viene rispettata a oltranza, fino a quando la disponibilità di acqua invernale (di vitale importanza della cascina) diventa problematica. Poi arriva la cosiddetta Zps delle risaie lomelline, la zona di protezione ambientale che si estende in tutta la fascia meridionale del territorio tra Po, Ticino e Sesia. A riguardo Giuseppe Tagliabue resta una mente libera, proprio come un suo antenato che fu eroe delle Cinque Giornate di Milano, e non nasconde la sua libertà di pensiero.

«Le risaie subiscono la concorrenza dei biodigestori – commenta Tagliabue – e credo sia discutibile che sia il mais destinato a fermentare a gareggiare con la coltivazione principe del territorio, il riso. Così come credo debba essere arginata la diffusione di tante specie viventi estranee alla Lomellina, cito ad  esempio le nutrie e l’ibis. Oltre al proliferare dei cinghiali. E’ un problema non affrontato, in bella evidenza per un popolo di agricoltori diventato guardiano del territorio e per questo finanziato dall’Unione europea». Ma se il riso resta il protagonista indiscusso dell’economia agricola locale, alla Rinalda si gioca una nuova scommessa con l’introduzione della coltivazione della Cipolla Rossa di Breme, detta “la dolcissima”, per le sua particolari doti di gusto e digeribilità. «Sotto la spinta del sindaco Franco Berzero, instancabile promotore della rossa – conferma Giuseppe Tagliabue – da quattro anni abbiamo introdotto questa produzione all’interno del consorzio produttori di Breme. Grandi soddisfazioni e grandi difficoltà. Il primo anno è stato un disastro, poi abbiamo imparato e oggi siamo presenti nella grande distribuzione e sui mercati esteri, con un marchio e un logo che ha realizzato mio figlio, che segue in prima persona questa parte aziendale. E non posso dire quanto sia stata grande la soddisfazione quando ho ricevuto una telefonata dal Belgio per una fornitura».  Sulla scia di questa esperienza non manca un auspicio per una valorizzazione degli aspetti agro ambientali della Lomellina, che si coniugano con la facilità di comunicazioni con i maggiori centro urbani del Nord Italia e con i grandi spazi dovuti a rapporti molto contenuti tra popolazione e territorio. «Forse il maggior problema del pianeta è che siamo in troppi – conclude Tagliabue – mentre qui in Lomellina siamo davvero in pochi. Ci sono centinaia di chilometri di strade bianche, una fitta viabilità minore, che si presta a sviluppare un vero agro turismo. Poi c’è il della vegetazione e dei corsi d’acqua. Certo ci vuole una organizzazione che oggi non esiste, che possa prendere per mano chi lascia la metropoli per la nostra campagna”. Proprio come è capitato, 40 anni fa, a un “giovin signore« che mai più ha lasciato la Lomellina. Autore: Giovanni Rossi

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