Il Selenio a 48 euro, come il Carnaroli, e l’Arborio a 51. Prezzi in ripresa, magari non quanto si vorrebbe e soprattutto non per le varietà indica di cui si auspica un aumento dell’ettarato, ma la ripresa c’è, tant’è vero che la protesta dei risicoltori si è spenta, almeno per il momento, e l’associazione #ildazioètratto tace. Tutto bene dunque? Non proprio, perchè prima si polemizzava sulla crisi, ora si fa lo stesso sul benessere. Ha iniziato la Coldiretti a rivendicare il merito di aver portato moneta sonante in tasca agli agricoltori con la legge dell’etichettatura obbligatoria e immediatamente hanno replicato i mediatori di Oryzon (leggi l’articolo). Ora la Cia parte lancia in resta contro la confederazione di Ettore Prandini, con un comunicato stampa in cui sostiene che «per arrivare a un significativo aumento del prezzo del riso è necessaria l’introduzione di certificazioni Dop e Igp» e fa sapere che «non basta l’etichettatura generica, in vigore dallo scorso anno, che sembrerebbe aver avuto un impatto poco rilevante sul mercato nazionale».
Clausola, chi era costei?
Anche la clausola di salvaguardia, che avrebbe dovuto rilanciare la produzione di riso indica, dopo anni di battaglie sembra essere diventata figlia di nessuno. La Cia parla infatti di «attesa degli effetti delle clausole di salvaguardia sull’importazione del riso dai Paesi del Sud-Est asiatico, avvenuti poche settimane fa» facendo intendere che non sarà la vera svolta: «la clausola di salvaguardia incide solo su alcune qualità di riso, come l’Indica, che peraltro è già stata importata dall’Asia in grosse quantità prima dell’entrata in vigore dei dazi e sono presenti in maniera consistente sul mercato». Al contrario, osserva, «occorre puntare sulle certificazioni di qualità, in modo da premiare la qualità delle produzioni e legare sempre più il prodotto al territorio».
Contestata Coldiretti
Contestando l’interpretazione della Coldiretti – «Secondo Cia-Agricoltori Italiani l’aumento di prezzo di diverse tipologie di riso autoctono ha origine negli squilibri del mercato. In particolare per quanto riguarda il rialzo del tondo, il fenomeno è legato alla scarsa produzione della varietà che ha segnato un calo di 100mila tonnellate nell’ultima annata. Per il resto della produzioni, i contenuti aumenti registrati sul mercato interno non sono tali da giustificare ottimismo» – spunta (o rispunta) la tesi che «per risolvere i problemi del mercato del riso, aumentare in maniera significativo il prezzo ed evitarne le fluttuazioni, è necessaria la valorizzazione del prodotto e l’introduzione di certificazioni di qualità».
Il progetto Valle del Po
Il mercato coperto dalle Dop (Baraggia) e dalle Igp (Vialone Nano Veronese) oggi è assolutamente residuale. I consorzi locali dispongono di risorse troppo magre per azioni di marketing che abbiano un reale impatto sul consumatore, anche se recentemente la Regione Piemonte è stata particolarmente generosa con il consorzio della Baraggia vercellese e biellese. La nota della Cia si spiega però con la notizia che presto il Ministero potrebbe dare il via libera all’Igp Valle del Po, che ha caratteristiche controverse sul piano giuridico ma rivoluzionarie su quello economico. Controverse perché, estendendosi sul bacino padano, potenzialmente potrebbe trasformare in Igp l’intera produzione nazionale (poi naturalmente bisognerà vedere il disciplinare). Rivoluzionarie perchè, seguendo il modello Melinda, concentrerebbe l’offerta come nessuno è mai riuscito a fare finora. Forse per questo, agli appuntamenti dell’associazione Rice Up che lo promuove si vede spesso il presidente di Cia Lombardia Giovanni Daghetta e la sua organizzazione è diventata tanto sensibile al tema dell’Igp. (Foto grande: il comitato dell’igp Valle del Po, di seguito intervista a Paolo Ghisoni, uno dei promotori dell’Igp) Autore: Paolo Viana