Torniamo a parlare di rotazioni in risicoltura biologica, argomento affrontato l’ultima volta due mesi fa circa (leggi articolo), quando insieme a Marco Romani, responsabile del settore agronomia dell’Ente Risi, avevamo analizzato il tanto agognato Decreto di modifica parziale del DM 6793 del luglio 2018, uscito il 9 aprile. Si trattava del Decreto 09/4/2020 n° 3757 (scarica il DMRotazioni), che modifica l’articolo 2 del DM precedente, reintroducendo il sovescio nel calcolo delle rotazioni colturali. In particolare, questo verrà riconosciuto se effettuato con una specie leguminosa, sia in purezza che in miscuglio, e dovrà essere mantenuto sino alla fase fenologica di fioritura, per almeno 90 giorni prima della semina della coltura principale successiva. Romani all’epoca si mostrò tuttavia alquanto scettico sulla possibilità di effettuare una rotazione che permettesse tre cicli di riso consecutivi ed affermò: «Ritengo che quanto sia stato concesso alla risicoltura biologica non sia in linea con le sue necessità agronomiche. La rotazione più adatta, per essere sostenibile agronomicamente, deve essere impostata su tre punti cardine: la coltivazione del riso deve essere effettuata 3 anni su 5 al massimo, per non più di due anni consecutivi e con un forte incentivo alla coltivazione di soia nella rotazione».
Arriva la nota di indirizzo
Questo pensiero dell’Ente Risi ha portato, di concerto con Regione Lombardia e Regione Piemonte, alla creazione di una Nota tecnica di indirizzo per le rotazioni nella coltivazione del riso biologico. Si tratta di indirizzi tecnici che consentono ai risicoltori biologici di rispettare il principio fondamentale della rotazione, per mantenere la fertilità del suolo e contrastare le malerbe e le avversità della coltura del riso, ed allo stesso tempo permettono l’applicazione omogenea e coerente delle norme che regolano la produzione biologica, da parte degli agricoltori stessi e degli Organismi di Controllo. La nota (documento completo al termine dell’articolo) chiaramente non si impone come un regolamento ma fornisce delle direttive tecniche, che sono riassunte nell’ultima parte: “Secondo la regola generale definita all’art. 2, comma 2, con il riso che rientra nella categoria “colture seminative”, può essere adottata una rotazione che vede la coltura risicola alternata a due colture principali, una delle quali può essere un sovescio purché con le caratteristiche previste dal decreto. Nel caso invece della deroga prevista all’art. 2, comma 3, lettera b), il decreto conferma che la rotazione può prevedere al massimo tre cicli di riso in un quinquennio. Da questo punto di vista, la rotazione riso-riso-riso-soia-mais o cereale autunno/vernino o altra coltura in asciutta, possibile dal punto di vista normativo, non appare assolutamente consigliabile in quanto la monosuccessione di riso per tre anni porterebbe ad un maggior insediamento delle avversità tipiche di questa coltura. In base ai criteri sopra esposti e come fortemente consigliato dall’Ente Nazionale Risi sulla base delle numerose prove condotte dal suo Centro Ricerche, appare quindi più adeguata la rotazione riso-riso-soia-mais o cereale autunno/vernino o altra coltura in asciutta, per poi riprendere il successivo quadriennio con lo stesso ciclo. In questo caso il riso succede a se stesso per un solo anno, conciliando da un lato l’esigenza di coltivare più frequentemente il riso e dall’altro quella di contrastare efficacemente malerbe e malattie. Inoltre, ogniqualvolta vi sia la possibilità tecnica (vale a dire un periodo di tempo tra due colture principali sufficiente per il raggiungimento di un adeguato sviluppo di quella intercalare), è opportuno inserire una coltura da sovescio o con funzioni di catch crop (coltura che assorbe gli elementi nutritivi a rischio di dilavamento), il cui insediamento è più facile in successione a colture in asciutta. Infine, per quanto riguarda il cosiddetto “anno zero”, dal quale prende avvio il ciclo di successioni da prendere in considerazione nel caso in cui l’azienda utilizzi la deroga prevista al comma 3, lettera b (“Il riso può succedere a se stesso per un massimo di tre cicli seguiti almeno da due cicli di colture principali di specie differenti, uno dei quali destinato a leguminose”), si precisa che esso va individuato nel 2016 (cfr. circolare ministeriale n. 85158 del 24/11/2017).”
Una strada o molte strade?
Attraverso questo documento, dunque, sembra finalmente crearsi una via univoca attuabile per la risicoltura biologica, sia dal punto di vista agronomico che da quello normativo; tuttavia questo documento non modifica il Decreto di aprile, che lascia la possibilità di attuare impostazioni poco in linea con la vera risicoltura biologica. Affrontiamo questi temi con Alberto Fusar, risicoltore biologico dell’Azienda Agricola il Sole ad Ottobiano (PV), che afferma: «Ritengo che le argomentazioni e le soluzioni proposte dalle due regioni, Piemonte e Lombardia, e dall’Ente Risi siano corrette. Esse suggeriscono in modo chiaro l’impostazione condivisibile 2 anni riso e 2 anni colture in asciutta, che rende possibile anche un buon controllo generale delle infestanti, grazie all’alternanza del ciclo idrico. Nella mia azienda vorrei poter ridurre ad uno l’anno di coltivazione in asciutta, mantenendo a 2 le annate consecutive a riso, principalmente per una questione di economia aziendale, essendo il riso il cereale più redditizio. In regime biologico, attualmente, i raccolti da asciutta danno un reddito difficilmente sostenibile, soprattutto per le piccole aziende. Tuttavia, essendoci la necessità di rispettare il regolamento in vigore, che impone di limitare la risicoltura a 3 anni su 5, appoggio questa direttiva che disincentiva la monosuccessione per 3 anni consecutivi e ne suggerisce 2, in linea con una vera risicoltura biologica, capace di tutelare produttività, fertilità, e biodiversità. Vorrei anche sottolineare la necessità di differenziare le normative sul biologico in relazione al territorio, poiché questa impostazione culturale è molto difficile da standardizzare se effettuata in modo rigoroso, essendo irrimediabilmente influenzata dall’ambiente circostante. Parlando in generale del discorso controlli, la mia idea è che questi e le direttive dovrebbero focalizzarsi sulle produzioni all’ettaro, più che sul tipo di rotazione da imporre, fermo restando ragionevoli avvicendamenti. Un’azienda risicola biologica che produce 8 t/ha circa, come dichiarato da alcune realtà, non è in linea con le caratteristiche produttive di questa impostazione agronomica (circa 4-5 t/ha di media aziendale). Per questo, analizzare questi valori e dare linee guida agli enti certificatori su questo tema, potrebbe prevenire in modo più concreto le eventuali frodi». Autore: Ezio Bosso