Sul finire del 2014 l’Inea ha reso pubblico uno studio che è passato sotto silenzio. Eppure è interessante. Interessante e molto pericoloso. Il poderoso lavoro scientifico è volto infatti a giustificare un aumento delle tariffe dell’acqua irrigua, un fattore di costo importante per la risicoltura. Stiamo facendo il processo alle intenzioni? Giudicate voi. Potete scaricare lo studio cliccando QUI. Per parte nostra ci limitiamo a sottolineare che il documento inquadra la tematica della gestione delle risorse idriche nell’ambito della nuova programmazione per lo sviluppo rurale 2014-2020, effettua una «analisi delle diverse voci di costo, potenzialmente da recuperare attraverso il prezzo dell’acqua irrigua», come scrivono gli autori, i quali dichiarano anche che «obiettivo del presente lavoro è quello di approfondire il tema del recupero dei costi dell’acqua a fini irrigui ed evidenziarne le varie implicazioni».Per chi non avesse voglia di leggersi tutto lo studio riportiamo le conclusioni, che ci paiono insidiose: «La ricerca si conclude presentando i risultati di una indagine operata a livello UE. Negli ultimi anni, infatti, numerosi studi a livello europeo hanno esaminato i sistemi di tariffazione e di governance del settore idrico nei Paesi UE allo scopo di verificare il livello di attuazione della direttiva quadro acque in termini di recupero dei costi, inclusi i costi ambientali e della risorsa, e di incentivo all’uso efficiente dell’acqua. Dall’analisi emerge che sono pochissimi gli Stati membri che hanno messo in atto un recupero trasparente dei costi ambientali e della risorsa, in nessun caso specificatamente per il settore agricolo. Il recupero dei costi di gestione e manutenzione dei servizi idrici è la regola nella maggior parte degli Stati membri dell’UE. Nella maggior parte dei Paesi esaminati, gli agricoltori infatti pagano solo per l’estrazione di acqua mentre nessuna tariffa è applicata sul consumo di acqua. Tariffe idriche per l’acqua di irrigazione si ritrovano solo negli Stati membri meridionali dell’UE (Francia e Spagna). Nel tradurre i requisiti dell’ articolo 9 in termini di incentivo al risparmio idrico molti Stati membri si stanno orientando, piuttosto che verso le tariffe idriche tradizionali e gli oneri e tasse ambientali, verso lo studio e la individuazione di ulteriori strumenti economici, integrandone anche diversi tra loro». Il succo del discorso è quello di aumentare i prezzi dell’acqua irrigua per costringere gli agricoltori a ridurre i “consumi”, una gran bella scoperta – a tirare la cinghia si risparmia… ma si muore di fame! -, talmente bella che era già stata fatta da Cavour nel fondare Ovest Sesia. Correva l’anno 1853. Prima di allora, il Demanio tariffava esclusivamente a superficie irrigata. Da allora, come sappiamo, nell’area risicola si tariffa in parte (costi generali) a superficie ed in parte (costi di derivazione e distribuzione dell’acqua) a volumi irrigui. Negli anni scorsi, abbiamo dovuto sopportare assude polemiche, anche da parte di sedicenti scienziati, sul consumo idrico delle irrigazioni: in realtà, l’acqua usata in risicoltura non si consuma, in quanto penetra nelle falde e in minima parte evapora tramite la vegetazione, oppure evapora dai terreni inumiditi, necessari alla crescita delle piante. E’ altrettanto provato che, diversamente da quanto sostengono coloro che addebitano all’agricoltura ogni sorta di nefandezza – salvo venir smentiti dalla scienza, com’è stato per i nitrati non più tardi di qualche mese fa – l’acqua irrigua viene inquinata dagli scarichi civili ed industriali, che la rendono inutilizzabile per usi civili, ma entro certi limiti anche quell’acqua è recuperabile per l’irrigazione. Quella inutilizzata poi finisce in mare, dove diventa salata e non è più utilizzabile, senza costosi dissalatori: si deve alla siccità e ai prelievi industriali e civili se il cuneo salino avanza nel delta del Po, certamente non agli usi agricoli. Ecco perché troviamo singolare che l’Inea, che dovrebbe essere un istituto esperto di agricoltura, attraverso questo studio, che è stato realizzato con il sedicente contributo dei consorzi irrigui dove siedono molti agricoltori, elenchi tra i vantaggi dell’irrigazione solo la produzione di prodotti alimentari di qualità. Se si tratta del solito mantra per indicare l’intera produzione made in Italy, che non è tutta di qualità, passi. Se si tratta di una parola d’ordine, ce ne dispiace, perché pensavamo che l’agricoltura fosse governata da professionisti competenti che non abbisognassero di parole d’ordine per giustificare il proprio operare. Vorremmo però sommessamente far notare che considerare estranea all’interesse nazionale la produzione di beni alimentari “normali”, e primariamente quella di commodities come il riso, il grano, la soia e il mais significa misconoscere l’asse portante dell’agricoltura italiana. Dovrebbe saperlo un Istituto che fa dell’analisi economica la propria mission e che per questo riceve fior di finanziamenti pubblici. Dovrebbero saperlo i consorzi di bonifica che, come si sa, sono spesso amministrati da agricoltori. Non sarebbe forse più giusticiato utilizzarne le competenze per individuare fattori di risparmio e non di rincaro delle tariffe irrigue? (05.04.15)
DE MINIMIS: IL NUOVO REGOLAMENTO
La Commissione europea pubblica il 13 dicembre 2024, il nuovo regolamento che alza la soglia “de minimis”, a 50.000euro/agricoltore/triennio.