È stato approvato di recente alla Camera, a larga maggioranza, il disegno di legge riguardante l’ agricoltura biologica (scarica il ddl). Il provvedimento, che regola un settore in continua crescita e dal forte impatto sia economico che sociale, passerà adesso al vaglio del Senato. Tra i punti più significativi della nuova normativa, sicuramente quello di introdurre un marchio per il biologico italiano, in modo da distinguere tutti i prodotti biologici realizzati con materie prime coltivate, allevate e trasformate in Italia. Inoltre si prevede l’adozione del piano nazionale delle sementi biologiche anche per migliorarne la qualità e la quantità, la promozione della formazione professionale nel settore, l’aggregazione dei produttori, accordi quadro, intese di filiera per valorizzare le produzioni biologiche, la tracciabilità delle produzioni, lo sviluppo dei distretti biologici, la valorizzazione dei rapporti organici con le organizzazioni dei produttori per pianificare e programmare la produzione e favorire l’accesso al mercato dei prodotti biologici.
La situazione
Le produzioni coltivate con metodo biologico rappresentano circa il 15 % della superficie nazionale. Con 13 milioni di ettari (+6,3% rispetto all’anno precedente) ed oltre 75.000 imprese (+5,2% rispetto all’anno precedente) l’Italia conferma di essere uno dei principali paesi in Europa per questo tipo di coltivazione, avendo inoltre il 60% dei giovani agricoltori che scelgono l’agricoltura biologica. Anche i dati sui consumi del biologico in Italia segnalano importanti indici di crescita: +9,6% rispetto all’anno precedente, con un incremento generalizzato per tutte le referenze biologiche vendute nella grande distribuzione e nei negozi specializzati.
Le perplessità
Nonostante i numeri parlino di un settore in crescita, positivo per la nostra economia, le perplessità da parte della comunità scientifica ed agricola sul bio sono in aumento. Per 213 esperti del settore (che chiedono in una lettera accompagnata da un documento di analisi, indirizzata a tutti i senatori membri della commissione Agricoltura, di modificare profondamente nell’impianto e nei contenuti il ddl) è proprio il biologico che va rimesso in discussione. Lo fanno partendo da un dato: i 13 milioni di ettari di superficie agricola utile coltivati in Italia producono solo il 70% del fabbisogno nazionale e quindi l’attuale formulazione del ddl aumenterebbe la dipendenza dall’estero. Gli autori della lettera, inoltre, evidenziano che la percezione che il biologico «non inquini» non tiene conto del fatto che «per ottenere le stesse quantità di raccolto occorre coltivare più terre e quindi si emettono più gas serra e si inquinano di più le falde con i nitrati». E, quanto al sistema dei controlli, quello delle produzioni biologiche è «attualmente lacunoso a causa del rapporto anomalo esistente tra valutatori e produttori, che vede il controllore pagato dal controllato».
La risposta
La risposta di Federbio a quest’attacco non si è fatta attendere: «La mancanza di conoscenza sulla realtà tecnica e produttiva dell’agricoltura biologica italiana costringe gli autori della lettera a dover citare dati di Paesi anche molto differenti rispetto al nostro o dati, come quelli riferiti alla Francia, completamente decontestualizzati e casualmente assortiti. Gli studi citati dagli autori del documento sono tutti più datati, parziali e decisamente meno autorevoli di quello commissionato dalla FAO. È comprensibile la frustrazione degli autori del documento per il fatto che l’agricoltura biologica è l’unica agricoltura sostenibile che dal 1991 è normata a livello Ue e l’unica che consente di mettere sull’etichetta dei prodotti agricoli e alimentari il logo europeo, come per le produzioni tipiche certificate. Gli autori del documento contro la legge sull’agricoltura biologica intendono l’innovazione esclusivamente quale l’ingegneria genetica e la chimica industriale di sintesi. Si tratta di una tipologia di innovazione che non è compatibile con i principi dell’agricoltura biologica sanciti anche dal Reg. CE 848/2018, che non vieta affatto altro tipo di innovazione, anzitutto per quanto attiene le tecniche agronomiche e agroecologiche, la lotta biologica, la chimica “verde”, i metodi fisici, il miglioramento genetico, la meccanizzazione, i farmaci omeopatici e fitoterapici, il benessere animale, l’agricoltura di precisione e digitale. Gli squilibri fra produzione agricola nazionale e consumo interno di prodotti alimentari descritti sono frutto delle dinamiche produttive e di mercato dell’agricoltura convenzionale. Il Disegno di Legge, anche attraverso l’istituzione di un logo nazionale per i prodotti biologici, punta a favorire l’autosufficienza alimentare per il Paese per il settore del biologico, come tassello di una strategia più complessiva. È infine sufficiente leggere i rapporti di ISPRA sulla qualità delle acque per comprendere che solo una maggiore pratica di agricoltura biologica potrà consentire di ridurre la notevole presenza di sostanze chimiche di sintesi anche nelle acque profonde che alimentano gli acquedotti. In ogni caso l’inserimento nella legge sull’agricoltura biologica di una delega al Governo per una riforma rigorosa del sistema di certificazione è certamente auspicabile». Autore: Ezio Bosso