Non sono Cobas e neanche No Tav. Il loro nome è un hashtag: #ildazioètratto. Sono agricoltori incazzati con le importazioni a dazio zero che l’Europa concede a Paesi in via di sviluppo e che, come è stato dimostrato, non arricchiscono i contadini ma le multinazionali. Il gruppone, che conta qualche centinaio di imprenditori piemontesi e lombardi, non può essere considerato un’espressione della sinistra antagonista o ecologista, come è stato per la Valle di Susa, se non altro perché, a naso, le preferenze politiche dei risicoltori non vanno in quella direzione. Neanche Cobas, però e per ora: la preoccupazione principale di questo movimento nascente sembra essere quella di non rompere i ponti con i sindacati agricoli, ma di costringerli a prendere posizioni più dure, in difesa di un comparto profondamente in crisi. Infatti, la piattaforma #ildazioètratto prevede «1) etichettatura Riso Italiano; 2) clausola di salvaguardia; 3) al fine di eliminare le solite divisioni sindacali , che da sempre causano il mancato raggiungimento dei risultati auspicati , si richiede un’assoluta comunione di intenti da parte delle Associazioni di Categoria; 4) eliminazione della denuncia delle superfici e dei quintali prodotti che di fatto integrano la fattispecie della concorrenza sleale; 5) richiesta modifica Statuto dell’Ente Nazionale Risi al fine della promozione del riso italiano». Il documento approvato dal gruppo dirigente giovedì sera prevede anche che «qualora fossero disattese ,in tutto o in parte , le nostre richieste ci attiveremo con manifestazioni di piazza i cui modi e tempi verranno decisi con tutti i membri del movimento». Siamo di fronte a una mobilitazione condizionata, ovvero a una esplosione controllata della protesta. Se poi osserviamo le richieste, ci sono dei fattori di continuità.
L’etichettatura è una richiesta che unisce tutti i sindacati, anche se all’ultima riunione degli Stati Generali, curiosamente, nessuno l’ha imposta all’industria, che è contraria, come abbiamo documentato. La clausola di salvaguardia è quella richiesta ufficialmente dagli Stati Generali ed è in continuità con la politica del Mipaaf da alcuni anni, politica che, purtroppo, non ha sortito effetti, finora. La richiesta di eliminare la denuncia delle superfici e delle produzioni incontra una vecchia richiesta di Confagricoltura, quella di istituire un osservatorio paritetico, che cioè disponga sia dei dati di produzione agricola che di quelli relativi alla commercializzazione: anche questo punto è bloccato da anni per opposizione dell’industria e la proposta del gruppo radicalizza questa posizione, sostenendo implicitamente che la debolezza commerciale degli agricoltori derivi dal fatto che l’industria conosce perfettamente dimensioni e qualità dell’offerta all’inizio della campagna di commercializzazione mentre la parte agricola è costretta a trattare al buio. La richiesta di modificare lo statuto dell’Ente Risi è più criptica, perché chiama in causa il tesoretto dell’Ente (23 milioni di euro) che il Ministero non vuole assolutamente toccare, come ha dimostrato anche agli Stati Generali. Veniamo infine al punto 3, il più dirompente. Perché? Perché dimostra che esiste un malessere profondo nella parte agricola per le divisioni sindacali, considerate la vera ragione della debolezza contrattuale dei risicoltori, che li costringe alla mercé dell’industria e della grande distribuzione.
Questa è quindi la richiesta più rivoluzionaria, mentre quella più delicata (perché si scontra con la linea dell’industria risiera) è la richiesta dell’etichettatura obbligatoria, che però è appoggiata dalle Regioni risicole, come dimostra una dichiarazione dell’Assessore all’agricoltura Giorgio Ferrero (foto piccola) secondo cui «la commissione politiche agricole della Conferenza delle Regioni, composta dagli assessori regionali all’agricoltura di tutte le Regioni italiane, ha chiesto al governo di adottare con sollecitudine il decreto legislativo sul mercato interno del riso e di introdurre l’indicazione di origine obbligatoria sull’etichetta del riso venduto in Italia. «La richiesta di introdurre l’indicazione di origine obbligatoria sull’etichetta”, spiega l’assessore regionale all’agricoltura Giorgio Ferrero, “rappresenta un potenziale punto di svolta per l’intero settore, che pur esprimendo un prodotto di qualità elevata, spesso si ritrova in crisi, soprattutto a causa delle crescenti importazioni. L’indicazione del luogo di produzione, infatti rende più trasparente il mercato mettendo i consumatori nelle condizioni di scegliere consapevolmente il prodotto da acquistare anche sulla base della sua provenienza. Esperienze analoghe già attuate per altri prodotti (quali, ad esempio l’ortofrutta, la carne bovina, il latte ed i suoi derivati), confermano questa tesi e suggeriscono di procedere nello stesso modo anche su altri fronti».