Scripta manent. «Un piatto di pasta si può fare con la semola canadese in Alaska. A livello di consumo poca parte dell’italian food genera ricchezza per il nostro Paese. Però con il riso è diverso. Per fare un buon risotto servono l’arborio o il carnaroli, che non vengono bene dove non c’è il microclima e la morfologia italiana, l’acqua delle Alpi. Perciò una confezione di riso italiano acquistata in qualsiasi parte del globo genera ricchezza per l’Italia». Queste parole sono state pronunciate da Dario Scotti nel corso di un’intervista apparsa oggi su Il Giornale e rappresentano fedelmente, a quanto ne sappiamo, il Dario-Pensiero. Talmente fedelmente che spiegano, individuando la centralità del riso japonica nella politica industriale di Riso Scotti, il motivo per cui, alcuni mesi or sono, il patron del gruppo pavese decise di affondare il piano Airi-Coldiretti per l’aiuto esclusivo all’indica, su cui contavano i produttori delle varietà più flagellate dalle importazioni. Le indiscrezioni di Risoitaliano.eu su quel passaggio sono state confermate dai fatti e ora anche dalle dichiarazioni, che arrivano in un momento particolarissimo, perché vengono pronunciate proprio mentre i buyer dell’industria si confrontano con un mercato in tensione e si teme un crollo delle quotazioni del risone da interno. In realtà Scotti sostiene che l’industria valorizza il prodotto nostrano, perché, appunto, il risotto si può fare solo con le varietà coltivate qui. Lui, del resto, segue personalmente l’andamento del mercato e lo racconta ai giornali, anche se ammette che il legame tra l’industriale e il risicoltore si è un po’ sfilacciato: «Quando ho iniziato – dichiara infatti Dario Scotti a Il Giornale – c’era un rapporto diretto coi singoli risicoltori, poi man mano che cresci ti confronti più con manager e dirigenti. Che volete, perdi in località e guadagni in globalizzazione».
FANFANI COMMISSARIO EST SESIA
Scelto il commissario dell’Ente