«Fiorenzo Rosso, artista appartato, che da oltre trent’anni conduce una ricerca coerente, determinata, anche se silenziosa, isolata. Rosso vive lontano dai fasti, dai clamori: se ne sta in una cascina del vercellese tra il verde e le risaie, circondato dalle carte, dai libri, dagli strumenti di lavoro. Utilizza fotografia, pittura, clichè verre e altri mezzi molto particolari…» Angela Madesani, critica d’arte, descrive con queste parole l’artista. Quel che dimentica di scrivere è che Rosso è un risicoltore ed è per questa ragione che ce ne occupiamo. Beninteso, non stiamo parlando di un agricoltore che, sceso dalla mietitrebbia, si dedica alla pittura come passatempo. Il vercellese Fiorenzo Rosso, vive nella natura e della natura, ma vive anche nell’arte da sempre, senza vivere di arte, perché si guadagna la pagnotta con i frutti della terra. Più precisamente quella di Olcenengo, cuore della risicoltura eusebiana. Un cuore che rivive e trasuda dai quadri di Rosso, dipinti, disegni e fotografie che ritraggono campagna e città vercellese con i colori densi e le atmosfere cariche di senso che solo chi le vive può cogliere.
Secondo un altro critico d’arte, Angelo Gilardino, «Fiorenzo Rosso appartiene alla storia dell’arte vercellese proprio nella misura in cui non vi è mai stato costretto. Quasi un secolo prima di lui, un altro pittore nato tra le risaie, Umberto Ravello, aveva cercato di sottrarsi al limite culturale della provincia muovendosi tra Venezia, Firenze e Parigi alla ricerca di un mondo poetico che, tuttavia, alla risaia dovette poi tornare. Rosso, invece, non ha mai patito la risaia come una cortina che gli velava l’orizzonte: l’ha osservata e l’ha lasciata parlare, cantare e danzare, come forse potrebbe ciascun abitante della terra d’acqua, se solo sapesse vedere e ascoltare». Tutto vero, come dimostrano le sue opere. Tutto vero, anche per come queste opere nascono, poiché la pittura di Rosso è in un certo senso la figlia della sua risicoltura.
Scrive la Madesani: «Rosso è affascinato dal mestiere nel senso più antico e completo del termine. È affascinato dai trucchi, dalle ricette, dagli esperimenti. Ogni lavoro costituisce per lui un banco di prova tramite il quale sperimentare, ma anche attraverso cui porsi in gioco per trovare la soluzione più idonea». L’esperta ne racconta con quella punta di stupore che si riserva agli sperimentatori, a quei cuori inquieti che si spingono sempre oltre. In realtà, Fiorenzo Rosso fonde l’aspirazione all’infinito propria di ogni artista con la ricerca, tipica del risicoltore moderno, di soluzioni tecniche capaci di piegare la realtà naturale alla volontà dell’uomo. Per questo, lo affascina la pittura come la scienza, la natura come la chimica, al punto che di lui si dice: «I suoi sono procedimenti di matrice alchemica». La critica artistica non è il nostro campo, lasciamo dunque ai critici interpretare Fiorenzo Rosso alla luce dei Corot e dei Bellotto e dissertare sui legami tra pittura e fotografia. Ci basta far conoscere a tutta la filiera un figlio della risaia al quale la natura, lo studio e, volendo, Domineddio, ha conferito il dono di disegnare da par suo la terra in cui vive. E che tutti amiamo. (Nelle foto, alcune opere di Fiorenzo Rosso e nella foto piccola il risicoltore a bordo del suo trattore)